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Il lato oscuro della vigilanza

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Europa

Il lato oscuro della vigilanza

  • –Donato Masciandaro

Qualunque politica economica – incluse quella monetaria e quella della vigilanza bancaria – dovrebbero essere coerenti con l'obiettivo macroeconomico prioritario: la crescita economica .

Donato Masciandaro

Purtroppo oggi nell’Unione Europea abbiamo un comportamento schizofrenico nella banca centrale europea (Bce): mentre la politica monetaria, sotto la guida di Mario Draghi, sta seguendo una strategia per ritornare ad una dinamica stabile dei prezzi e della produzione, la politica di vigilanza, sotto la responsabilità di Danièle Nouy, rischia di andare nella direzione opposta, creando un cortocircuito che può danneggiare prima i circuiti finanziari, poi quelli reali. La ragione? La politica di vigilanza sta utilizzando obiettivi e metodi impropri: la finalità della azione cosiddetta micro prudenziale dovrebbe essere la sana e prudente gestione delle singole, non la stabilità sistemica, che è invece compito della politica macro prudenziale; gli interventi dovrebbero essere mirati, non generalizzati; la cadenza temporale di medio periodo, non congiunturale. Occorre che la schizofrenia cessi; la forza della Bce non può avere un lato oscuro.

Gli ultimi dati sulla dinamica della produzione e dei prezzi nell'Unione europea confermano che la situazione macroeconomica complessiva è tutt'altro che stabilizzata; la ripresa economica appare anemica e reversibile. Di fronte alla perdurante incapacità delle altre istituzioni europee di disegnare e mettere in atto politiche economiche efficaci e credibili, l'attenzione continua ad essere – aggiungiamo eccessivamente – accentrata sull'unica istituzione dell'Unione davvero capace di una politica economica sovranazionale: la Bce. Purtroppo anche il consuntivo della azione finora svolta a Francoforte è un bicchiere pieno solo a metà, se valutata con il metro della coerenza rispetto alla finalità della crescita economica: mentre la politica monetaria può essere promossa, la politica di vigilanza deve essere almeno rimandata.

L'efficacia della politica monetaria viene valutata rispetto ad un obiettivo di medio periodo: la stabilità della relazione tra i tassi di interesse nominale e quelli di inflazione, un tasso di interesse reale positivo e stabile. Un tasso reale positivo e stabile è la condizione per una crescita economica sana e regolare: incentiva le famiglie a risparmiare e le imprese ad investire. La politica monetaria deve dare il suo contributo per evitare che il tasso reale diventi per periodi prolungati troppo alto o troppo basso. Per cui la banca centrale deve contrastare sia le spinte inflazionistiche - come è accaduto negli anni '80 – che le spinte deflazionistiche – come sta accadendo dal 2008 ad oggi nelle economie avanzate.

Dall'inizio della Grande Crisi ad oggi la Bce ha cercato di contrastare le spinte alla destabilizzazione del tasso reale con politiche dei tassi nominali che possono essere considerate espansive rispetto alla norma, se si escludono i mesi che vanno dall'ottobre del 2008 al dicembre del 2009, sotto la presidenza di Jean-Claude Trichet. La politica espansiva sui tassi di interesse è però solo condizione necessaria, ma non certo sufficiente, per avere una crescita delle grandezze monetarie e creditizie. Tutto dipende dalle aspettative di famiglie, imprese e banche. Avviata la Crisi, l'avversione al rischio a spinto le famiglie a non consumare, le imprese a non investire, le banche a non prestare: moneta e credito non crescono, ed il sistema cade nella trappola della liquidità. Per cui tassi che precipitano verso lo zero sono paradossalmente accompagnati da un ristagno della dinamica delle grandezze monetarie: misurando il ristagno come la differenza rispetto alla crescita normale, nell'Unione la trappola della liquidità risulta evidente dal gennaio del 2010 al gennaio del 2012, e poi nuovamente dal dicembre del 2013 al maggio del 2014.

Durante la trappola della liquidità, i tassi reali si sono prima azzerati, poi sono entrati in territorio negativo per 57 mesi consecutivi, arrivando ad un massimo di 185 punti base nel settembre 2012. Poi i tassi reali hanno oscillato, in negativo ed in positivo, attorno allo zero. Il rischio deflazione, e quindi il rischio impennata dei tassi reali, che avrebbe stroncato qualsiasi ripresa economica, è stato finora scongiurato. Allo stesso tempo, il meccanismo di trasmissione della politica monetaria – rotto dalla trappola della liquidità – si è normalizzato, auguriamoci definitamente.

L'avvio della normalizzazione dunque c'è stato; nonostante una politica di vigilanza che invece ha finito per remare nella direzione opposta. La politica di vigilanza è coerente con la crescita economica quando i suoi obiettivi e strumenti sono coerenti – e gerarchicamente subordinati – a quelli della politica macro prudenziale. La politica macro prudenziale deve avere connotati anticiclici – regole dolci nelle recessioni, regole severe nelle espansioni – ed utilizzare strumenti e modalità che riguardano la totalità degli intermediari. La politica di vigilanza è ancillare a quella macro prudenziale: quindi deve avere carattere strutturale, non congiunturale, e riguardare singoli intermediari, non il sistema nel suo complesso.

Purtroppo fino ad ora l'Unione Europea è stata orfana di una politica macro prudenziale centralizzata, sistematica e pervasiva. Per cui la politica di vigilanza ha tracimato: ha assunto carattere ciclico – purtroppo pro ciclico – e generalizzato. Nessuna meraviglia quindi che l'azione della Bce rispetto alla crescita economica è apparsa una sorta di tela di Penelope: quello che la mano della politica monetaria ha costruito rischia di essere disfatto dalla mano della vigilanza. La presenza sotto lo stesso tetto della Bce delle tre politiche – monetaria, prudenziale e di vigilanza - nonostante il non completo accentramento delle ultime due, deve essere almeno il veicolo per ripristinare la gerarchia tra politica prudenziale e politica di vigilanza, aumentando così le possibilità di coordinamento con la politica monetaria. Altrimenti i rischi di fallimento di tutte e tre le politiche – quindi della reputazione della Bce – saranno sempre più alti.

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