La miscela del Caucaso torna infiammarsi perché ci sono tutti gli ingredienti per esplodere e gli attori giusti per un'altra guerra per procura: la Russia, un’ex superpotenza tornata in primo piano con la guerra di Siria e l'Ucraina, due ambiziose potenze regionali, la Turchia e l'Iran, coinvolte in una confronto per espandere la loro influenza, due ex repubbliche sovietiche, Armenia e Azerbaijan, in guerra per il Nagorno-Karabakh
E' questa una nuova puntata dello scontro tra Erdogan e Putin già andato in scena in Siria? I russi hanno una base militare in Armenia e tengono in pugno l'economia di Erevan, i turchi sostengono un Azerbaijan sempre più militarizzato che spende in un anno per la difesa più dell'intero Pil armeno. L'Iran, potenza musulmana ma sciita, che tiene rapporti sia con Baku che con Erevan, ha appoggiato gli armeni durante gli anni del conflitto ed è pronto a cogliere ogni sussulto per esercitare il suo ruolo di guardiano del Caucaso meridionale oggi soprattutto in funzione anti-turca ma anche con un occhio all'espansionismo di Mosca.
Autoproclamatosi indipendente nel 1991 con la dissoluzione dell'Urss e la secessione dall'Azerbaijan, la repubblica del Nagorno Karabakh (Nkr), abitata in maggioranza da armeni (95%) ma racchiusa nei confini azeri, ha vissuto uno dei più sanguinosi conflitti del Caucaso, con 30mila morti e circa un milione di profughi, senza che la comunità internazionale potesse agire in maniera incisiva, prima a causa della contemporanea crisi delle guerre balcaniche negli anni 90 e poi per la disgregazione dello scacchiere mediorientale.
Messo in secondo piano dal marasma in Medio Oriente, in realtà questo conflitto in corso da oltre due decenni ne fa parte e riflette uno scontro religioso, culturale e soprattutto nazionalistico tra azeri musulmani e armeni cristiani ma anche quello sulla gestione delle risorse di gas e petrolio. Nel 2013 Erevan si è impegnata a trasferire il 20% delle azioni di ArmRosGazprom (società che regola la distribuzione di gas) alla russa Gazprom per coprire un debito di 300 milioni di dollari, consegnando la gestione del gas nel Paese a Mosca. Mentre dall'Azerbaijan parte il Tanap, il gasdotto che dovrebbe portare il gas azero in Europa attraverso Georgia, Turchia, Grecia e Italia. La presenza russa in Armenia non è giustificata soltanto come un appoggio a un Paese cristiano ma anche da questi interessi contrastanti e concorrenti sulle vie del gas. Putin ha quindi ottenuto dal governo di Erevan l'installazione di due basi militari russe, nella città di Erebuni (a nord della capitale) e a Gyumri (al confine con la Turchia). Insomma russi e turchi anche qui, come nel Levante siriano, si confrontano da vicino, faccia a faccia.
L'annuncio che l'Azerbaijan sospende “con benevolenza” le operazioni belliche non deve creare troppe illusioni: la crisi del del Nagorno è il classico ordigno a tempo che si può azionare quando serve. La Turchia di Erdogan, sostenendo Baku militarmente, ha mandato a Mosca il segnale che voleva.
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