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Le tre ricette del Fondo monetario per ridare slancio alla crescita

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STUDIO FMI

Le tre ricette del Fondo monetario per ridare slancio alla crescita

FRANCOFORTE - Liberalizzazioni, riduzione del cuneo fiscale, aumento della spesa in politiche attive del mercato del lavoro sono le tre ricette di effetto più immediato del Fondo monetario per rafforzare la crescita «troppo lenta e troppo fragile» su cui ha sollevato l'allerta martedì a Francoforte il suo direttore, Christine Lagarde.

L'Fmi parla da tanto tempo della necessità di riforme strutturali che un altro studio su questo tema dall'istituzione di Washington può apparire un déjà vu. Ma nei Paesi avanzati, dove la politica monetaria sembra aver raggiunto i propri limiti di efficacia, e soprattutto nell'eurozona, dove anche la politica fiscale è ingessata dalle regole europee, possono essere una carta decisiva per far fronte ai rischi crescenti per la ripresa.

Le riforme strutturali non si fanno perché spesso sono impopolari e vanno a colpire gruppi di pressione bene organizzati. E questo spaventa i politici. Nella celebre frase dell'attuale presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker: «Sappiamo quali riforme dobbiamo fare. Non sappiamo come essere rieletti dopo averle fatte». Il G-20 ha varato un paio d'anno fa un piano che inizialmente prevedeva quasi mille progetti di riforme, con l'obiettivo di alzare la crescita mondiale di un 2% entro il 2018, ma i ritardi sono tali che è pressoché impossibile che l'obiettivo venga raggiunto.

Eppure, non c'è occasione migliore di una crisi per sbloccare lo stallo politico sulle riforme, osserva l'Fmi, in uno studio appena pubblicato in vista degli incontri della prossima settimana a Washington, dove il problema del rilancio della crescita sarà al centro delle riunioni di ministri finanziari e governatori del G-20 e del Fondo monetario stesso. «Le riforme del mercato del lavoro e dei prodotti hanno in comune anzi tutto una cosa: tipicamente vengono introdotte in periodi di crescita economica debole, di alta disoccupazione, o entrambi». È certamente il caso dell'Europa in questo momento. Nel G-20, gli Stati Uniti sono più inclini a pensare che il momento richieda soprattutto un rilancio della domanda, mentre il paladino delle riforme strutturali è la Germania, che peraltro ha fatto le sue ormai un decennio fa e da allora vive sugli allori, come l'ha ammonita l'Ocse questa settimana.

Data la difficoltà di introdurre queste riforme, la scelta delle priorità e la sequenza dell'applicazione conta. Le riforme del mercato dei prodotti, per esempio le liberalizzazioni nelle reti, nel commercio al dettaglio, nelle professioni, che favoriscano l'ingresso di nuovi partecipanti sul mercato, hanno un impatto anche nel breve termine. Spingono l'investimento privato e favoriscono l'occupazione. Inoltre, hanno il vantaggio, in molti casi, di non presentare costi per le finanze pubbliche. Sono le cosiddette riforme a costo zero. L'Fmi cita le liberalizzazioni del trasporto aereo e delle telecomunicazioni degli anni 90 come due esempi di riforme che hanno portato forti aumenti di produzione, produttività e qualità dei servizi. I risultati in termini di aumento del prodotto interno lordo sono visibili già nel secondo anno dopo la loro introduzione.

Le riforme del mercato del lavoro sono spesso un tabù, soprattutto se ci sono elezioni in vista. Alcune però sono di maggiore effetto quando le condizioni macroeconomiche sono deboli, come è il caso attuale: per esempio, la riduzione del cuneo fiscale e l'aumento della spesa in politica attive del mercato del lavoro, che mirano cioè a riportare in attività i disoccupati. La loro efficacia dipende in parte dal fatto che comportano normalmente una qualche misura di stimolo fiscale. In tempi difficili, invece, è più problematico realizzare riforme della protezione dell'occupazione e dei sussidi di disoccupazione, perché queste possono indebolire ulteriormente la domanda e la crescita.

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