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Lista di Panama, prime dimissioni

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Lista di Panama, prime dimissioni

Il barometro dei Panama Papers ha segnato tempesta nella periferica Islanda. Il suo premier Sigmundur Gunnlaugsson è stato costretto a dimettersi ieri, messo nell’angolo dal conflitto di interessi emerso con i file dello studio Mossack Fonseca. Ma le ripercussioni dello scandalo non si fermano a Reykjavík e stanno investendo la politica europea anche a Londra e Parigi. Senza dimenticare Berlino, alle prese con ventotto banche che avrebbero utilizzato i servizi dello studio panamense creato nel 1977 proprio da un tedesco, Jürgen Mossack, figlio di un membro delle SS.

A David Cameron in campagna per sostenere il sì alla Ue i cronisti ieri hanno rivolto solo domande sulla società offshore del padre, morto nel 2010. Nelle stesse ore la Francia leggendo Le Monde, uno dei quotidiani aderenti all’International Consortium of Investigative Journalists che ha svelato i documenti, ha appreso di un tesoro in banconote e lingotti d’oro riconducibile ai Le Pen.

Sorpresa amara anche per la Fifa che credeva di essersi messa alle spalle la bufera dell’era Blatter. Nei file si trova il nome del neo presidente Gianni Infantino, eletto dopo lo scandalo delle mazzette. Il Guardian ha svelato che tra il 2003 e il 2006, quando era direttore degli affari legali della Uefa, Infantino avrebbe firmato contratti per la cessione dei diritti tv insieme a società offshore riconducibili a Hugo Jinkins, secondo gli inquirenti Usa una delle persone coinvolte nell’inchiesta per corruzione.

Se in Europa il terremoto politico potrebbe essere appena iniziato, Pechino con disinvoltura zittisce i media e censura internet impedendo ricerche con la parola Panama poiché dall’archivio finito sui computer dei reporter consorziati è saltato fuori il nome del cognato del presidente Xi Jinping.

Tornando alla vecchia Europa, dove la magistratura può aprire indagini e i media scrivere i nomi, ecco che in Islanda si conta la prima vittima politica. Per 48 ore, senza sosta, decine di migliaia di islandesi hanno protestato, lanciando uova e banane, davanti al Parlamento che aveva già messo in calendario un voto di sfiducia.

Dai documenti panamensi è emerso che il premier quarantunenne, al governo dal 2013, aveva avuto una quota in Wintris, società offshore della facoltosa moglie servita a gestire svariate milioni di dollari («frutto di un’eredità») quattro dei quali investiti in titoli di banche islandesi fallite nel 2008. Il problema è che da primo ministro Gunnlaugsson seguiva i negoziati con i creditori. Prima di lasciare - lo sostituirà un collega di partito, il ministro della Pesca e Agricoltura Sigurdur Ingi Johansson - Gunnlaugsson ha tentato un goffo contrattacco chiedendo inutilmente al presidente della Repubblica di sciogliere il Parlamento per tornare al voto.

In Francia, invece, lo scossone investe l’opposizione frontista dei Le Pen. Riemergono figure discusse, già legate a ipotesi di finanziamento illecito del Front National. Il fidatissimo ex compagno di università di Marine, per esempio, Frederic Chatillon, e Nicolas Crochet, che ne scrisse il programma economico nel 2012. I due, secondo Le Monde, sarebbero stati al centro di un «sistema offshore sofisticato tra Hong Kong, Singapore, isole Vergini britanniche e Panama» mirato a «far uscire denaro dalla Francia attraverso società schermo e fatture false con la volontà di sfuggire al servizio antiriciclaggio». Spunta inoltre il nome del fondatore del National Front, Jean-Marie. La magistratura francese sospettava da tempo che avesse usato una rete offshore per nascondere - dietro al maggiordomo Gerald Gerin e alla sua Balerton Marketing Limited, creata nei Cairabi negli anni 2000 - banconote, titoli, lingotti e altri pezzi d’oro. Si viene ora a sapere che il valore totale ammonta a 2,2 milioni di euro.

Non è l’unico problema aperto in Francia dalle liste panamensi. Il ministro delle Finanze Michel Sapin ha convocato ieri sera i vertici di Société Générale, tra i colossi finanziari che attraverso lo studio Mossack Fonseca avrebbero creato società nei paradisi fiscali per i propri clienti. SocGen, stando a Le Monde, ne avrebbe messe in piedi 979, a fronte delle 2.300 di Hsbc, le 1.000 di Ubs, le 1.105 di Crédit Suisse. La banca sostiene che l’attività offshore sia stata praticata «in modo trasparente nel rispetto delle regole» in materia di lotta all’evasione. Il governo ha chiesto spiegazioni. Tutte le opzioni sono aperte, incluse possibili sanzioni.

GLI INTERMEDIARI FINANZIARI PIÙ COINVOLTI
Le dieci banche che hanno richiesto il maggior numero di società offshore per la propria clientela (Fonte: elaborazione ICIJ su documenti Mossack Fonseca; periodo 1977-2015)

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