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Un mondo alla rovescia: tassi negativi e deflazione. Dalla Bce un gioco…

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politica monetaria

Un mondo alla rovescia: tassi negativi e deflazione. Dalla Bce un gioco online per diventare Draghi per un giorno

Ci troviamo francamente in un territorio inesplorato. Inesplorato per i manuali di economia, per i mercati finanziari e per le banche centrali. Tutto però è collegato. Sui manuali di economia è scritto che aumentando la quantità di moneta in circolazione aumenta l’inflazione. Allo stesso tempo, se aumentare la quantità di moneta (e quindi anche di prestiti) vuol dire tagliare i tassi (e quindi aprire le maglie del credito) è anche piuttosto logico aspettarsi che i titoli azionari diventino via via più attraenti delle cedole offerte dalle obbligazioni, che risentono del taglio dei tassi (o espansione monetaria).

Da diverso tempo, invece, questi meccanismi (è in particolare il meccanismo di trasmissione della liquidità dalla Banca centrale all’economia reale) si sono inceppati. Le banche centrali dei Paesi sviluppati da anni stanno attuando misure espansive non solo con l’azzeramento dei tassi di interesse ma addirittura con il cosiddetto quantitative easing, ovvero immettendo direttamente liquidità sui mercati finanziari con nuovi soldi di zecca stampati dalle banche centrali. Eppure questo non si sta rivelando sufficiente per mantenere la stabilità dei prezzi, che è il primo obiettivo di una banca centrale.

Questa stabilità è fissata nella soglia «di poco inferiore ma vicina al 2%» e non riguarda un trimestre o un anno ma il medio periodo. Per questo motivo le banche centrali utilizzano - per orientare le decisioni di politica monetaria - degli indici forward, che cioè fanno previsioni nel futuro. La Bce, ad esempio, utilizza l’indice inflation euro 5y5y. Misura le aspettative sull’inflazione da qui a 5 anni. Bene, questo indice oggi è all’1,4%, vicinissimo al minimo (1,36%) di tutti i tempi da quando esiste l’Eurozona. Ciò vuol dire, in parole semplici, che i mercati in questo momento si aspettano che la Bce non riuscirà a mantenere la stabilità dei prezzi (e cioè a portare l’inflazione a ridosso del 2%) non solo nei prossimi mesi, ma addirittura nei prossimi 5 anni.

I mercati quindi sentenziano due cose: 1) o che la politica monetaria è fuori tiro e va ricalibrata; 2) o che la politica monetaria non è sufficiente per garantire la stabilità dei prezzi. Soprattutto in uno scenario come quello attuale dove stiamo vivendo una crisi della domanda. La capacità reddituale e di conseguenza la capacità di chiedere e onorare prestiti da parte di famiglie e imprese che operano nell’Eurozona è in netto calo. Ed è per questo che da parecchio tempo si combatte con i rischi di deflazione, ovvero che i prezzi dei beni e servizi anziché aumentare, diminuiscano alimentando una spirale negativi sui consumi (perché acquistare oggi una mela a 1 euro quando domani mi costerà 0,9) che frenano produzione, fatturati e prodotto interno lordo.

Una recente indagine di Deutsche Bank evidenzia come dal 2012 le principali economie del mondo stiano attraversando la cosiddetta “wage deflation”. Wage sta per “salari”. Ne consegue che i Paesi sviluppati stanno affrontando una “deflazione salariale”. Ciò è dovuto per i Paesi dell’Eurozona 1) in parte agli effetti fisiologici del processo di globalizzazione in corso (i Paesi più ricchi finiscono per importare deflazione dai Paesi che vendono prodotti a costi più bassi perché hanno costi di produzione minori); 2) in parte a un lento processo di aggiustamento degli squilibri commerciali tra Nord e Sud Europa (i Paesi più deboli per tornare competitivi, non potendo svalutare il cambio che è fisso e si chiama euro, sono costretti a svalutare i salari).

Questa è (più o meno) la mappa, il territorio (inesplorato) in cui ci troviamo oggi. Questa stessa mappa ci fa capire quanto sia complicato attuare una politica monetaria e soprattutto quanto a volte la politica monetaria da sola non sia sufficiente per correggere le storture sistemiche e rimettere in carreggiata un’area economica nel sentiero della stabilità dei prezzi.

La Bce, per finalità didattiche ed educative, mette a disposizione di tutti un gioco - chiamato “€CONOMIA” e disponibile su questo link - che permette a chiunque di mettersi nei panni di Mario Draghi e alzare o tagliare i tassi per cercare di orientare al meglio l’inflazione, con conseguenze immediate anche su Pil e disoccupazione. La simulazione è ovviamente semplicistica ma consente di apprendere le nozioni basilari di macroeconomia e di percepire che la politica monetaria - al netto di tutte le critiche che ogni giorno riceve - è questione complessa.

Il gioco viene utilizzato anche dalle università. Enrico Foscolo, ricercatore della Libera Università di Bolzano, che lo propone dal 2014 ai propri studenti come attività interattiva formativa e parte integrante del corso di Statistica Economica, ci racconta: «Con questo simulatore i ragazzi sono riusciti a comprendere le dinamiche macroeconomiche con più efficacia rispetto all’utilizzo di grafici sterili contenuti nei testi. Ben vengano altre iniziative del genere. Queste iniziative di educazione finanziaria attraverso strumenti interattivi e multimediali risultano utili tanto per il cittadino comune quanto per la didattica universitaria, anche in un contesto socio-politico così complicato come quello attuale».

Non sarà certo un gioco a tirarci fuori dal guado, ma sicuramente potrà aiutare molte persone a capire meglio, e più in profondità, la crisi strutturale e la realtà che stiamo vivendo negli ultimi anni.

twitter.com/vitolops

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