Con un fuoco di fila di interventi dei suoi esponenti di maggior spicco, da Mario Draghi a Ignazio Visco, da Peter Praet a Benoit Coeuré, la Banca centrale europea ha ribadito senza mezzi termini che non intende accettare l’inflazione troppo bassa che attanaglia l’eurozona ormai da troppo tempo. Il governatore della Banca d’Italia, Visco, ha parlato a Francoforte di «necessità di decisioni ambiziose».
A marzo, il consiglio, non senza dissensi interni sull’asse tedesco-olandese, ha varato un pacchetto con tre componenti: il taglio dei tassi, l’aumento e l’espansione degli acquisti di titoli (il Qe) e una nuova serie di finanziamenti mirati alle banche perché facciano credito all’economia reale, a condizioni più che favorevoli, oltre all’allungamento delle indicazioni prospettiche sui tassi, la cosiddetta forward guidance.
Ieri, Draghi ha riconosciuto che ci vorrà tempo prima che queste misure agiscano sull’economia e dispieghino completamente i propri effetti. E questo è il primo messaggio della sequela di interventi di ieri, completata dalla pubblicazione del resoconto dell’ultimo consiglio: la Bce è pronta a nuove misure, se le cose dovessero peggiorare, ma per ora vorrà verificare gli effetti di quelle già adottate. Anche davanti alle accuse di iperattivismo (soprattutto in Germania) da una parte, e all’impazienza dei mercati finanziari dall’altra, Francoforte segnala che per il momento si fermerà.
Il secondo segnale riguarda la natura dello stimolo: i tagli dei tassi degli ultimi mesi, compresi i tassi negativi sui depositi delle banche presso la Bce, avevano anche l’obiettivo, non dichiarato, di utilizzare l’indebolimento del cambio per dare fiato all’export e quindi all'attività. Questa fase è conclusa, per diversi motivi: le incertezze sul futuro percorso dei tassi americani, che ora non paiono più così divergenti da quelli europei da provocare un rialzo del dollaro (anzi nelle ultime settimane è avvenuto il contrario), la domanda globale più fiacca che riduce la spinta esterna e la preferenza della stessa Bce per una pausa nei tagli ai tassi d’interesse, anche per i possibili effetti collaterali (che per ora non si sono del tutto materializzati) sulla stabilità finanziaria.
C’è quindi un passaggio del testimone, affermato esplicitamente da Draghi nel suo discorso di ieri a Lisbona. Il pacchetto approvato a marzo dal consiglio, ha detto il presidente della Bce, «dà la priorità ai prestiti alle famiglie e alle imprese». Dal cambio al credito. L’incentivo per le banche, che in passato avevano utilizzato la liquidità della Bce anche e soprattutto per acquistare titoli di Stato dei rispettivi Paesi, è molto forte: riceveranno addirittura un premio dalla banca centrale se con la liquidità presa a prestito con le Tltro2 supereranno certi valori di riferimento nei nuovi impieghi. Questo dovrebbe consentire tra l’altro alle banche di compensare almeno in parte le difficoltà che crea loro una curva dei tassi molto piatta e la compressione dei margini d’interesse. In passato, la capacità della Bce di stimolare l’economia attraverso questo canale è stato condizionato dalla scarsa propensione delle banche a fare nuovi prestiti, nel pieno di un processo di deleveraging, e dalla domanda di credito abbastanza fiacca proveniente dall’economia reale. Resta da verificare se queste criticità sono superate. In questa occasione, peraltro, i finanziamenti alle banche sono accompagnati dagli acquisti di titoli, il Qe: significa che la Bce non dipende più solo, passivamente, dalla domanda delle banche, per la sua azione di stimolo, ma persegue in modo attivo l’espansione del proprio bilancio. A Francoforte insistono che tutte le azioni sono complementari e si rafforzano a vicenda.
La prova potrà venire solo dai fatti. La Bce spera che i venti contrari dell’ultimo anno si attenuino, ma nell’attuale incertezza globale è difficile farci conto. Quel che è certo è che, come ammette Draghi, ci vorrà tempo. Ed è proprio quello che comincia a scarseggiare, se non si vuole rischiare un avvitamento, un disancoraggio, nel gergo dei banchieri centrali, delle aspettative d’inflazione.