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Kerry sotto i riflettori al G7 della diplomazia a Hiroshima

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la prima volta di un segretario usa

Kerry sotto i riflettori al G7 della diplomazia a Hiroshima

HIROSHIMA - Partecipano i sette ministri degli esteri del G7 (tra cui Paolo Gentiloni per l'Italia), ma sotto i riflettori c'è soprattutto John Kerry. Per la prima volta un capo della diplomazia americana in carica arriva a Hiroshima: domani depositerà, assieme ai sei colleghi, fiori al cenotafio che ricorda le vittime della bomba sganciata dall'Enola Gay il 6 agosto del 1945, causando 140mila morti e avviando il dramma - che continua a tutt'oggi – dei sopravvissuti (hibakusha). Sarà la prima volta anche per i ministri degli esteri di due Paesi nucleari come Regno Unito e Francia.

I più ottimisti ritengono che il gesto di Kerry spianerà la strada a una visita del presidente Barack Obama al termine del vertice G7 dei leader che si terrà il 26 e 27 maggio a Ise-Shima. Finora il piu' alto esponente politico americano in carica a visitare Hiroshima e deporre fiori era stata la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, nel 2008. Obama ha inviato due successivi ambasciatori, John Ross e Caroline Kennedy, ad alcune delle cerimonie commemorative che si tengono il 6 agosto di ogni anno.

Simbologia positiva
Il governo giapponese ha voluto convocare il G7 ministeriale nella città martire proprio per i forti connotati simbolici e per cercare di rilanciare l'attenzione e l'impegno internazionale verso il contenimento del sempre incombente rischio atomico. Kerry, con gli altri, visiterà il Museo-Memoriale della Pace e firmerà quella che dovrebbe essere denominata “Dichiarazione di Hiroshima”, finalizzata appunto a richiamare l'attenzione del mondo sui temi della sicurezza nucleare, dei rischi di proliferazione e della necessità di ridare impulso a un processo graduale di disarmo nucleare (da tempo in stallo per le divergenze tra Paesi nucleari e non).

Le difficoltà
Proprio alla vigilia del G7 ministeriale, dalla Corea del Nord è arrivata una doccia fredda: il dittatore Kim Jong Un ha annunciato di aver realizzato un nuovo propulsore per missili balistici intercontinentali in grado di colpire gli Stati Uniti. Quanto alla prevista “Dichiarazione di Hiroshima”, il suo valore è inevitabilmente reso relativo dal fatto che Paesi nucleari importanti come Cina e Russia siano assenti dal consesso G7. Mosca non ha nemmeno partecipato una decina di giorni fa al vertice di Washington sulla sicurezza nucleare: l'inasprimento dei rapporti tra Usa e Russia è un'altra delle ragioni per cui il disarmo nucleare è in stallo. Quanto alla Cina, a Washington c'era ma ci sono segnali della sua forte irritazione per questo G7 ministeriale. Molti media cinesi hanno definito la scelta della città come una manovra del governo conservatore-nazionalista di Shinzo Abe per cercare di imporre una “narrativa” secondo cui il Giappone fu sostanzialmente vittima e non aggressore nella seconda guerra mondiale. Inoltre Pechino ha cercato invano di far sì che questo G7 non si occupasse delle questioni di sovranità nel Mar Cinese Meridionale: al contrario, è in vista una presa di posizione piuttosto decisa contro ogni atto unilaterale e per la libertà di navigazione secondo il diritto internazionale (con la Cina implicitamente accusata di aver avviato un piano di militarizzazione dell'area). Infine, il G7 ministeriale dovrebbe chiedere maggiore trasparenza sugli armamenti nucleari. E Pechino non rende noto ufficialmente quante testate abbia a disposizione.

La questione delle scuse
Kerry terrà una conferenza stampa alle 16.15 di lunedì. Pare ovvio che le reazioni negli Usa avranno un ruolo nell'avvicinare o allontanare la prospettiva di una visita a Hiroshima del presidente Obama. Alla vigilia, indicazioni di parte americana hanno “annacquato” il significato della visita di Kerry, che dovrà probabilmente ricorrere a equilibri linguistici per non dare l'impressione che l'America si scusi per quanto provocato dall'Enola Gay.

Certo al presidente che nel 2009 a Praga sottoscrisse lo scenario di un mondo senza armi nucleari, che ha ricevuto il premio Nobel per la pace e che fatto la storia visitando Cuba, probabilmente non dispiacerebbe chiudere il suo mandato con un altro gesto forte nel segno della pace e della riconciliazione tra i popoli. Il problema è che siamo in un anno elettorale negli States: ogni accenno di scuse per l'utilizzo dell'armamento atomico diventerebbe un'arma di propaganda nelle mani dei Repubblicani, rischiando di penalizzare il candidato Democratico. Il pensiero dominante negli Stati Uniti è che Hiroshima accelerò la fine della guerra: sarebbe obbrobrioso scusarsi per qualcosa che salvò centinaia di migliaia di vite americane (e per inciso anche giapponesi), evitando una sanguinosissima operazione di invasione dell'arcipelago nipponico. Questa granitica convinzione non considera altri aspetti: ad esempio, l'atomica avrebbe potuto essere sganciata in un'area meno popolata. Senza contare che molti storici ritengono che il Giappone si arrese non tanto per le atomiche, ma a causa dell'offensiva russa dal Nord (Mosca dichiarò la guerra il giorno dopo Hiroshima): visto che i sovietici avevano persino ammazzato il loro zar, era sicuro al 100% che, se fossero arrivati a Tokyo prima degli americani, avrebbero giustiziato l'imperatore del Giappone (il che imponeva la resa al nemico meno intrattabile). Anche in alcuni ambienti di “sinistra”, americani e internazionali, non si guarda con entusiasmo a una possibile visita di Obama a Hiroshima, per il timore che potrebbero far gioco all'agenda nazionalistico-revisionista di Shinzo Abe (“il Giappone come vittima”).
Un sondaggio condotto l'anno scorso dal Pew Research Center, comunque, ha segnalato un certo cambiamento, sia pure lento, nell'opinione pubblica statunitense: il 34% ritiene che l'uso della bomba non era giustificato, mentre il 56% si è dichiarato in favore.

Appello a visitare Hiroshima e Nagasaki
«Non è tanto importante la questione delle scuse», afferma Keiko Ogura, che aveva 8 anni nel 1945 e scampò alla morte per circostanze fortuite: oggi fa la guida al Peace Memorial Museum e ritiene che la cosa più importante è che «i leader del mondo vengano a vedere le conseguenza di un'arma tanto terribile e ne traggano un insegnamento e un incentivo per promuovere la pace tra i popoli». La diplomazia giapponese preme perché nel comunicato finale del G7 ministeriale sia appunto inserito un passaggio in cui si invitino i leader del mondo e i giovani di tutto il pianeta a recarsi a Hiroshima (e Nagasaki). Oggi Hiroshima è una città che ha quasi 1,2 milioni di abitanti e, come sottolinea il sindaco Kazumi Matsui, vuole essere non solo un simbolo di sofferenza, ma anche di rinascita. Tanto che oggi i ministri degli esteri ne contemplano anche l'aspetto di richiamo turistico, con una visita alla vicina isola di Miyajima, il cui tempio Itsukushima (quello del famoso “torii” rosso che sorge dalle acque) è Patrimonio dell'Umanità Unesco.

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