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Quel filo tra Mossack Fonseca e la vendita delle azioni Ilva

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Quel filo tra Mossack Fonseca e la vendita delle azioni Ilva

C'è un filo sottile che lega i Panama Papers e la Mossack Fonseca alla vendita di un pacchetto azionario del 2,95% dell'Ilva posseduto dalla famiglia Amenduni e ceduto alla società lussemburghese Allbest nel 2007. Un'operazione da 180 milioni di euro i cui dettagli non sono ancora del tutto chiari e che coinvolgono la famiglia argentina Werthein e le Assicurazioni Generali.
Il punto di partenza è la società Daedalus Overseas Inc. fondata a Panama nel gennaio 1993 da Katia Solano De Bernal e Francis Perez, due segretarie dello studio legale Mossack Fonseca. La società, con un capitale di 10mila dollari suddiviso in 100 azioni nominative o al portatore, ha la sede sociale al secondo piano dell'Arango-Orillac Building, negli uffici della Mossack Fonseca.
Insieme alla Bright Global SA di Tortola, nelle Isole Vergini Britanniche (società che è stata molto probabilmente creata dallo stesso studio legale panamense), la Daedalus Overseas risulta azionista della Allbest SA, la società lussemburghese che nel 2007 ha rilevato dalla famiglia Amenduni il 2,95% dell'Ilva, la società siderurgica della famiglia Riva oggi in amministrazione controllata. Una normale operazione industriale, che aveva consentito agli Amenduni di ridurre la loro partecipazione nell'Ilva al 10,05% in un momento di forti frizioni con l'azionista di controllo Emilio Riva. Ma qui cominciano le stranezze.

Pur non avendo formalmente nulla a che fare con la famiglia Riva, la Allbest aveva la sua sede legale presso lo stesso domicilio della Utia, la società lussemburghese dei Riva che controllava il 39,9% della Riva Fire e a cascata l'Ilva Spa. Al momento della costituzione della società (il 22 dicembre 2006), inoltre, gli azionisti della Allbest erano rappresentati da Alain Thill, lo stesso professionista che sei anni dopo, nell'assemblea del 3 agosto 2012, sottoscriverà per conto della Monomarch Holding (la società olandese dei Riva che controllava Utia), l'aumento di capitale della stessa Utia. Nel marzo 2009, poi, tra gli azionisti della Allbest è comparsa anche la Companies & Trust Promotion, società presente nella Limbo e nella Canoe, due delle holding lussemburghesi della famiglia Ligresti, che conducono anch'esse a Panama.

Dei misteri della Allbest aveva parlato per primo il giornalista (oggi parlamentare) del Corriere della Sera, Massimo Mucchetti. E, come ha rivelato Claudio Gatti in un'inchiesta sul Sole 24 Ore, intorno alla Allbest non è mai stata fatta chiarezza. L'operazione di acquisizione della quota dell'Ilva non sarebbe stata poi così lineare e sarebbe finita tre anni fa al centro di un'indagine interna voluta dall'ex amministratore delegato delle Generali, Mario Greco. Infatti il 26 giugno 2007 le Generali avevano sottoscritto 180 milioni di un bond quinquennale della Allbest. Secondo un parere “pro veritate” dello studio legale Portale-Visconti, commissionato dalle Generali e rivelato dal Sole 24 Ore, «le somme ritratte dal collocamento del bond venivano utilizzate da Allbest per rimborsare un prestito-ponte ottenuto dalla Banca Svizzera Italiana impiegato per acquistare da Valbruna Nederland BV - società facente capo alla famiglia Amenduni - un pacchetto di azioni di Ilva Spa pari al 2,95% del capitale sociale, dietro il pagamento di un corrispettivo di 180 milioni». Banca Svizzera Italiana è una sussidiaria di Generali. Amenduni è azionista di Generali. Nel 2012 una società della famiglia Werthein si dichiarava soggetto di controllo di Allbest.
Chissà se i Panama Papers e le 200mila email trafugate alla Mossack Fonseca riusciranno a dipanare la matassa.

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