L’ultima spiaggia, A prova di errore, Il dottor Stranamore, ma anche The Day After, Wargames - Giochi di guerra, The Atomic Cafè. E tanti altri. L’incubo della guerra nucleare è stato il focus culturale di intere generazioni, durante la Guerra Fredda. Ma spesso la realtà ha superato la fantasia, arrivando davvero a un soffio dall’Olocausto: il 26 settembre 1983, per esempio, un satellite spia sovietico segnalò per errore il lancio di cinque missili balistici americani diretti verso l’URSS. Per fortuna il comandante del centro di controllo sovietico, il famoso colonnello Stanislav Petrov, rifiutò di avvertire i suoi superiori ritenendo improbabile un attacco con soli cinque missili. E così salvò il mondo.
Ma il 25 gennaio 1995 Petrov (prontamente destituito per non aver eseguito gli ordini, salvando peraltro l’umanità) non c’era più, e quando un razzo scientifico norvegese lanciato sulle norvegesi isole Svalbard venne scambiato dai russi per un missile nucleare Trident diretto su Mosca, iniziò - per la prima volta nella storia - il conto alla rovescia per la rappresaglia atomica. Boris Elstin era pronto ad autorizzare il lancio con le sue “chiavi nucleari”. Per fortuna l’equivoco venne chiarito dopo otto minuti. E anche quella volta ci salvammo.
E oggi? In quella che Papa Francesco chiama la «Terza guerra mondiale a pezzi», ci siamo dimenticati delle Bombe. Che però sono sempre lì, a tenere l’umanità appesa a un filo come all’epoca della Guerra Fredda. Sì, perché secondo gli scienziati anche un conflitto atomico regionale tra due potenze minori sarebbe in grado di provocare un mutamento climatico mai visto nella storia dell’uomo, scatenando un “inverno nucleare” destinato a uccidere buona parte dell’umanità.
Nove Stati hanno ancora arsenali nucleari, per un totale che Ploughshares Fund stima in 15.695 testate. Il 94% di queste sono in mano a Stati Uniti e Russia, mentre le altre potenze atomiche - a eccezione della Corea del Nord - hanno tra le 100 e le 300 testate ciascuna. «Semplicemente troppe», spiegano allarmati Alan Robock, docente di scienze ambientali alla Rutgers University, e Owen Brian Toon, docente di scienze atmosferiche e oceaniche all’Università del Colorado. I rischi di un incidente nucleare sono ancora alti, avvertono i due scienziati: per un errore umano o delle macchine, per il panico seguito a un incidente internazionale, per l’azione di un hacker o su decisione del dittatore di turno di una potenza atomica.
Il problema è che anche uno scambio regionale di bombe porterebbe a conseguenze irreparabili per il pianeta Terra. L’incubo dell’“inverno nucleare” diventerebbe realtà. I più avanzati e moderni modelli climatici mostrano infatti che anche gli effetti di un conflitto limitato durerebbero più di un decennio, poiché la polvere proiettata in cielo dalle deflagrazioni nucleari salirebbe molto più in alto delle nuvole. Le piogge non riuscirebbero a dissiparla.
I due scienziati americani hanno simulato lo scenario di una guerra atomica tra India e Pakistan, con uno scambio di testate pari complessivamente a 100 volte la bomba di Hiroshima. Al di là della reciproca distruzione dei due Paesi, la “polvere nucleare” oscurerebbe il Sole in molte altre aree del pianeta Terra, facendo sprofondare le temperature in un lunghissimo inverno più o meno radioattivo. «I nostri calcoli mostrano che la produzione mondiale di grano, riso, mais e soia precipiterebbe di una quota compresa tra il 10 e il 40% - spiegano Robock e Toon - . Tra l’altro lo strato dell’ozono verrebbe compromesso, permettendo alle radiazioni ultraviolette di raggiungere la superficie terrestre». Paradossalmente, deflagrazioni e radiazioni sarebbero insomma il male minore, perché parte dell’umanità morirebbe semplicemente di fame. Come ammise lo stesso Ronald Reagan nel lontano 1985, «molti grandi scienziati ci stanno dicendo che la nostra Guerra Fredda può finire con una sconfitta per tutti, perché stiamo rischiando di spazzare via la Terra così come la conosciamo ora».
E allora qual è la soluzione? I due esperti americani non hanno dubbi: continuare a ridurre l’arsenale atomicomondiale. «L’esistenza di migliaia di armi nucleari è la più pericolosa eredità della Guerra Fredda», disse Obama nel 2009, ricordando che gli Stati Uniti - unica nazione ad aver usato davvero nella storia quegli ordigni - hanno la «responsabilità morale» di immaginare un mondo senza Bombe. «Dobbiamo insistere», incalzò Obama, chiudendo il discorso con il suo marchio di fabbrica di allora: «Yes, we can». Ma ce la faremo davvero, prima che qualcosa ci sfugga di mano?
© Riproduzione riservata