Le competenze di lettura degli adulti italiani sono tra le peggiori al mondo. Lo rileva l'Ocse in un focus sulle «Adult skills» pubblicato nei giorni scorsi, secondo il quale la percentuale dei 16-65enni italiani con scarse capacità di lettura e comprensione di un testo arriva al 28%, contro una media Ocse che non supera il 15 per cento. Un'ultima posizione condivisa solamente con gli spagnoli (anche loro intorno al 28%), mentre gli altri Paesi restano tutti al di sotto del 20%, con picchi di eccellenza in Norvegia, Repubblica Ceca e Corea, che si assestano su valori vicini al 10 per cento.
Lo studio
Il focus Ocse si basa sui dati 2012 del Piaac (Programme for international assessment of adult competencies), lo studio che ha indagato le capacità di lettura dei 16-65enni di 24 paesi, classificandole secondo tre livelli di competenze e scoprendo che, in media, il 15,5% degli adulti non supera il livello 1, con un range che va dal 5% del Giappone al 28% dell'Italia.
«Nonostante i miglioramenti dei livelli di istruzione dei più giovani registrati negli ultimi anni - dice Francesca Borgonovi, analista Ocse nel team Piaac - l'Italia è in fondo alla classifica per quel che riguarda le competenze di lettura degli adulti, che comprendono il riconoscimento e la comprensione di una parola scritta, di una frase e di un periodo più complesso». Ovviamente le performance dipendono dal titolo di studio posseduto - il campione Piaac comprende diversi tassi di istruzione - ma anche «dai bassi tassi di partecipazione all'università e alla formazione professionale, un fenomeno evidente - aggiunge Borgonovi - non solo in Italia, ma anche a livello mondiale».
Poca formazione continua
E qui entra in gioco anche il nodo della formazione continua, la cosiddetta «lifelong learning». «Una volta completato l'obbligo di istruzione - sottolinea l'analista - sia i singoli che le imprese investono poco in formazione continua e, dunque, con il passare del tempo si assiste a un vero e proprio degrado delle competenze». E non è solo la mancanza di tempo o denaro a scoraggiare l'iscrizione a corsi di formazione o aggiornamento. Secondo Borgonovi esistono « due tipi di barriere: una all'accesso, dovuta alle insufficienti politiche di sostegno alla famiglia che non permettono ai lavoratori di trovare il tempo per frequentare corsi, e una seconda legata al rapporto costi/opportunità, visto che, in generale, c'è uno scarso riconoscimento della formazione in termini di progressione salariale o maggiore benessere sul lavoro».
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