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Politica monetaria

Giovedì è il giorno della Bce: il «wait and see» di Draghi in attesa di risultati

Ora si può solo aspettare. Difficile che, in assenza di cattive notizie, la Banca centrale europea prenda altre iniziative dopo il taglio dei tassi e l’ampliamento del quantitative easing (qe) deciso a marzo e in attesa del lancio al giugno della nuova serie di Tltro2, le aste di liquidità a lungo termine finalizzate ai prestiti alle imprese. I banchieri centrali ora hanno bisogno di capire quanto siano efficaci le misure finora prese, e quindi l'analisi della situazione economica, d'ora in poi, sarà centrale. Sono quindi basse le attese per la riunione di aprile, giovedì, al massimo qualche indicazione sull'eventuale andamento dei tassi in futuro: potranno calare ancora, o no?

L’analisi economica non dà indicazioni nuove, in alcun senso. Al momento, l'inflazione non accenna a migliorare. Non inganni il ritorno a marzo dell'inflazione a zero – livello comunque insoddisfacente – dal -0,2% annuo di febbraio; e neanche il miglioramento dell'inflazione di fondo, core (che esclude alimentari ed energia) dal +0,8% all’un per cento. I prezzi dei beni industriali (non energetici), quelli esposti alla concorrenza internazionale, hanno rallentato, passando da un incremento annuo dello 0,7% a febbraio allo 0,5 per cento. Il piccolissimo progresso dell’indice complessivo è quindi tutto legato all’andamento dei prezzi dei servizi – il 44,2% dell'indice – che hanno accelerato all’1,4% annuo. Un segnale positivo, l’inizio della svolta? Non sembra. È stato piuttosto l'effetto degli aumenti delle tariffe turistiche: Pasqua, quest’anno, è caduta a marzo, mentre nel 2015 era ad aprile. Il sottoindice, in accelerazione, ha registrato questa discrepanza temporale (e lo farà, di nuovo, questo mese, con un possibile rallentamento, se non una flessione).

Il rialzo dell’euro non aiuta. Da un anno, la moneta comune è spinta lentamente in alto da una irregolare ma chiara tendenza all’apprezzamento. Il cambio effettivo, un indice che riassume l’andamento verso le principali valute, era a quota 88,948 il 6 aprile 2015 e a quota 94,6157 martedì 19 aprile, con un rialzo del 6,4% che non aiuta l'economia di Eurolandia, né l’andamento dei suoi prezzi. Il livello attuale è sicuramente lontano dal 104,5 di aprile 2014, e ancora di più dal 113,5 di fine 2009, ma gli sviluppi e le prospettive della politica monetaria del mondo, dopo il rialzo dei tassi americani, avrebbe fatto sperare qualcosa in più proprio negli ultimi mesi. Soprattutto, il periodo di apprezzamento ha coinciso con quello del quantitative easing, alimentando le critiche.

È vero però che sono i tassi di interesse – il differenziale atteso – e non gli acquisti di titoli, a incidere sui cambi. Anche in questa fase, non “ordinaria”. L’andamento del cambio lascia quindi pensare che qualche indicazione sul costo del credito ufficiale, dalla conferenza stampa, potrebbe arrivare. La Banca centrale continua a dire che i tassi resteranno agli attuali livelli – zero per cento, con un -0,4% per i depositi presso la Bce – «o più bassi», per un periodo lungo, ma il presidente Mario Draghi a marzo ha preferito lanciare un segnale un po’ diverso: non sono previsto ulteriori tagli, ha detto. Un’apparente contraddizione che può essere sciolta in un modo solo: ipotizzando eventuali nuove riduzioni del costo del credito sono possibili soltanto con l’arrivo di altre cattive notizie sul fronte dell'economia e dei prezzi. Le parole di Draghi a marzo hanno però inciso sulle aspettative e hanno spinto verso l’alto la moneta comune.

Non è escluso che continui anche il dialogo a distanza tra la Bce e i suoi critici. Soprattutto dopo gli aspri giudizi contro la Bce e il suo quantitative easing espressi dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble («Sta creando problemi straordinari», ha detto). La Banca centrale non entra direttamente nelle polemiche, preferendo difendere il proprio operato su un piano strettamente analitico. Compito non difficile in una fase in cui – come ricorda Ben May di Oxford Economics – molti indicatori reali migliorano: gli indici di attività si sono stabilizzati, la produzione industriale è in rialzo e fa pensare a un’accelerazione del pil nel primo trimestre 2016, vendite al dettaglio e immatricolazioni segnalano una crescita delle spese delle famiglie, il mercato del lavoro di Eurolandia migliora e si rafforza il credito bancario.

A mancare all'appello, oltre al cambio, sono quindi soltanto i prezzi – inflazione e aspettative – che rispetto a quelle variabili reali si muovono sempre “in ritardo”. In questo caso sembrano però un po’ troppo in ritardo e danno forza a quelle analisi – le ultime sono di Ethan Harris di BoA Merrill Lynch – che indicano nell’eccesso di offerta globale di beni e servizi, non (o non solo) nella carenza di domanda – la causa dell’attuale situazione mondiale di bassa inflazione e di crescita comunque limitata. Un eccesso di offerta di beni e servizi è, peraltro, un eccesso di domanda di moneta, che si cura proprio con la politica monetaria e non con una – difficile – politica fiscale; laddove uno scenario di stagnazione secolare richiede esattamente il contrario: politica fiscale, e non politica monetaria. Sono temi che sono sullo sfondo dell’attuale dibattito di politica monetaria e di cui sarà importante cogliere eventuali allusioni nelle prossime conferenze stampa della Bce.

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