Mondo

New York al voto: test chiave per Trump e Clinton

  • Abbonati
  • Accedi
Le primarie per LA CASA BIANCA

New York al voto: test chiave per Trump e Clinton

NEW YORK - Non succedeva da qualche decennio: le primarie a New York, lo stato, non solo la metropoli, sono improvvisamente diventate barometro per la nomination, sia repubblicana che democratica. I percorsi sono abbastanza segnati, dovrebbero vincere agevolmente i due “residenti” locali, Donald Trump per i repubblicani e Hillary Clinton per i democratici.

Ma la domanda in queste straordinarie e imprevedibili primarie americane è un’altra: quanto agevolmente? Già, perché entrambi, per avere successo e aprirsi la strada verso le altre primarie importanti dovrebbero imporsi con percentuali superiori al 50 per cento. E non solo per una questione di immagine nel loro stato, ma, nel caso di Trump, anche per una questione pratica: le regole repubblicane a New York prevedono che se il candidato vince con oltre il 50% del voti - e dunque basterebbe un 50,1% - avrà diritto a tutti e novantaquattro i delegati dello stato. Trump dunque potrebbe balzare a un numero complessivo di 837 delegati lasciando Ted Cruz, il numero due all’inseguimento, fermo ai 543 delegati attuali. Per questo New York diventa una cartina di tornasole per i repubblicani. A quel punto a Trump mancherebbero 400 delegati per arrivare alla Convenzione di Cleveland con i 1237 delegati necessari per aggiudicarsi la nomination in modo automatico.

Di questi già 141 saranno in palio il 26 Aprile in Pennsylvania, Maryland e Delaware, tre stati in cui valgono di nuovo le regole che favoriscono il vincitore con un forte premio di maggioranza. E Trump si trova in effetti in vantaggio sia in Pennsylvania che in Maryland, ma solo con il 43,6% e il 40,5% rispettivamente, inseguito da Cruz con un 25,4% e un 26,8 per cento. Gli esperti dicono che l’effetto scia per Trump con una forte vittoria a New York potrebbe essere determinante per decollare verso il livello minimo necessario per aggiudicarsi la nomination: solo in California, dove di nuovo Trump è in vantaggio con un 40,4% contro il 31,4% di Cruz, ci saranno in palio per il vincitore ben 172 delegati.

Nonostante il partito repubblicano abbia fatto di tutto per ostacolare l’ascesa di Donald Trump, il costruttore/celebrità newyorchese potrebbe dunque farcela a mettere insieme i 400 delegati mancanti su un totale ancora in palio di 769 incluso New York. Ma se oggi a New York, dove i sondaggi gli danno preferenze per il 53,1% dovesse scendere al di sotto del 50% per un ritorno di Kasich, al 22,8%, o un recupero dell’ultima ora di Cruz, oggi al 18,1%, allora saranno guai: anche perché con una forte incidenza del voto latino americano a favore di Cruz e dell’establishment newyorchese (che conosce bene Trump e non lo stima) a favore di Kasich, un movimento di un paio di punti per ciascuno non è impossibile.

Lo stesso vale in campo democratico. Hillary è in vantaggio a New York con il 53,6% contro il 41,6% di Bernie Sanders. Ma Sanders si è battuto come un leone, si è mosso in ogni angolo dello stato, arriva al voto di oggi dopo aver vinto gli ultimi 8 stati su nove in palio. È dunque in ascesa, ha persino preso l’aereo per andare in Vaticano ed è riuscito contro ogni previsione a stringere la mano a Papa Francesco. Tutto questo conquista titoli di prima pagina e dà l’idea dell’azione. Hillary invece sembra giocare con prudenza difendendo le posizioni: il suo controllo della macchina politica dello stato è impressionante, è stata senatore dello stato per 8 anni, una posizione che le ha consentito di intrecciare alleanze e restituire molti favori. La macchina nello stato è dunque sua. Ma in queste elezioni ci siamo accorti che le macchine elettorali contano poco e spesso girano a vuoto. Se Bernie riuscisse anche soltanto ad accorciare le distanze, per lui si tratterebbe di un grande successo, soprattutto guardando alla California, anche per i democratici lo stato più importante con ben 546 delegati.

L’effetto “scia” è importante. Oggi Hillary, al netto dei superdelegati, si trova in vantaggio, ma non è un vantaggio schiacciante come sembrava soltanto un mese fa: ha 1.307 delegati contro i 1.094 di Bernie Sanders e per vincere la nomination ce ne vogliono 2.383. E in California dove era in netto vantaggio ha perso alcuni punti, è a quota 49,4% contro il 41,6% per Sanders. Vero, in Pennsylvania e Maryland la Clinton e molto al di sopra del 50%. Ma per i democratici non vi sono premi di maggioranza per il vincitore. E dunque anche fra i democratici dove prevale il proporzionale, la corsa sarà tesa, dura, snervante forse fino al 14 giugno quando ci sarà a Washington, nella capitale, l’ultima delle primarie di questa estenuante battaglia elettorale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA