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L’Europa che serve: condividere i rischi per ridurli

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L'eDITORIALE

L’Europa che serve: condividere i rischi per ridurli

La proposta di assegnare un rischio ai titoli di Stato è accantonata per ora, se ne parlerà nei prossimi mesi. Nelle condizioni di fragilità dell'economia e della finanza europee era l'unica cosa ragionevole da fare. Inoltre dietro la proposta tedesco-olandese c'era un carattere punitivo nei confronti dei Paesi in difficoltà particolarmente ottuso. Nel comunicato finale dell'Eurogruppo non c'è traccia però nemmeno di progressi sull'altro elemento che doveva bilanciare la proposta, cioè l'assicurazione comune dei depositi. Era un baratto sbagliato, ma frenare il completamento dell'unione bancaria è grave. Bisogna rimettere la questione nel verso giusto senza paura di cambiare lo status quo.

Come abbiamo già spiegato, la logica in ogni policy europea è diventata quella di procedere parallelamente con la riduzione dei rischi e la loro condivisione. Stiamo parlando in questo caso del rischio che crisi del debito sovrano si intreccino alle crisi bancarie, come è avvenuto dal 2010. Se un “baratto” è necessario, allora bisogna pensare a quale sia il più logico. E una proposta interessante, benché non nuova né possibile in tempi rapidi, è quella di far sì che ogni banca dell'euro-area debba avere in portafoglio titoli di tutti i Paesi dell'euro-area, con un tetto massimo per singolo Paese. Attualmente, in alcuni Paesi le banche detengono titoli pubblici nazionali per oltre il 200% del loro capitale. Un aumento del premio di rischio del 2,5% sui titoli pubblici dimezzerebbe il capitale delle banche in Italia o Spagna. Distribuire i titoli pubblici nell'euro-area romperebbe il ciclo vizioso in cui si erano avvitati quei Paesi nel 2011 e di fatto porrebbe le basi per l'eurobond sintetico che su queste colonne abbiamo proposto nel 2014 in vista dell'allentamento quantitativo della Bce.

Si tratta però di una forma di condivisione dei rischi che non corrisponde a una loro riduzione. Sappiamo infatti che i titoli pubblici vengono liquidati più facilmente da banche straniere e ciò renderebbe più rischiosa una crisi del debito. Quindi è necessario un elemento di riduzione dei rischi, di cui deve far parte anche l'assicurazione comune dei depositi. L'assicurazione è stata lasciata in mani nazionali, ma come il caso irlandese ha dimostrato, se c'è una crisi, un governo può non riuscire a dare una garanzia credibile ai depositanti. Il fatto che esista una comune garanzia invece è in grado di prevenire la crisi di fiducia che scatena la corsa a ritirare i depositi. Da qualche mese tuttavia, l'assicurazione dei depositi è diventata politicamente indigesta in Germania. Il ministero delle Finanze ha preso posizione totalmente contraria a una policy che aveva già approvato nel contesto dell'unione bancaria denunciando il rischio che l'assicurazione crei “azzardo morale” nei Paesi meno rigorosi. Per chi è appassionato della Germania e della sua storia questa posizione apre una ferita. Come è noto l'ultima fuga dei depositanti tedeschi fu causata dalla crisi di una banca straniera nel 1931 (il Creditanstalt) con conseguenze politiche e finanziarie tragiche. Dal '48 in Germania è cresciuto un sistema di protezione privato e pubblico che evita per quanto possibile il fallimento di una banca a costo di creare un fenomeno macroscopico di “azzardo morale” a favore di banchieri inefficienti o molto prossimi alla politica. Le Casse di risparmio e le banche cooperative si proteggono reciprocamente con una garanzia aggiuntiva dell'azionista pubblico. Come è stato notato da altri, anche le banche private, dalla piccola Düsseldorfer Hypo alla grande Deutsche Bank, beneficiano di protezioni da parte di altre banche «con l'obiettivo di non danneggiare la reputazione della piazza bancaria tedesca» o direttamente dal ministro delle Finanze che ne garantisce personalmente la solidità.

Anche il fondo Atlante varato dall'Italia può essere considerato un'iniziativa protettiva da parte di un sistema bancario nazionale nei confronti di istituti troppo fragili. Non bisogna quindi scandalizzarsi troppo di quello che succede in un Paese o nell'altro. Finché la logica nella riduzione dei rischi è di riguardare solo i poteri nazionali, e di non essere un impegno solidale dei Paesi, sarà sempre così. C'è infatti un altro circolo vizioso che la discussione sulle banche sta portando alla luce ed è quello che intercorre tra la segmentazione nazionale della crisi e il consenso che i politici nazionali raccolgono nell'opinione pubblica ogni volta che difendono i cosiddetti interessi nazionali. La tutela del risparmio – così importante per la classe media e per le maggioranze elettorali – ne è il simbolo e non deve sorprendere dunque che la crisi economica sia diventata una crisi anche politica. Finché l'Europa non diventerà artefice della difesa dei risparmiatori lungo il loro ciclo vitale, anziché esser vista come una minaccia per i depositi, per le pensioni o per i diritti sociali, non troverà il consenso della maggioranza delle società europee e incentiverà la frammentazione lungo i confini nazionali.

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