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La Fed resterà prudente sui tassi per evitare un brusco rialzo del dollaro

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verso la riunione di aprile

La Fed resterà prudente sui tassi per evitare un brusco rialzo del dollaro

La diagnosi sembra buona. La disoccupazione Usa è ormai al 5%, e non è certo il leggero rialzo dal 4,9% di febbraio a preoccupare. L'inflazione misurata sui consumi personali – l'indice preferito dalla Fed - è all’1,84%. Le aspettative a cinque anni- cinque anni dopo non sono molto lontane dall’1,8%. Perché allora nessuno si aspetta, per la riunione di aprile, un rialzo dei tassi ufficiali, oggi allo 0,25-0,50%?

La risposta immediata punta molto sul dollaro: la banca centrale Usa vuole evitare un brusco rialzo del cambio che danneggerebbe le esportazioni, minaccerebbe i risultati finora conseguiti sul fronte dei prezzi – anche se i listini dei beni importati sono spessissimo espressi in dollari già all’origine – e creerebbe turbolenze su alcuni mercati emergenti legati alla valuta americana, con il rischio di ricadute anche negli Stati Uniti.

Quest’ultimo fattore, quello delle turbolenze internazionali, secondo Ajay Rajadhyaksha di Barclays avrebbe spinto anche le altre banche centrali, tutte ancora impegnate in una politica monetaria ultraespansiva, a non insistere troppo, in una sorta di accordo implicito, su scelte che avrebbero potuto e potrebbero portare a un rafforzamento del dollaro. Per quanto possa apparire strano, guardando dal punto di vista di Eurolandia, il cambio effettivo nominale del dollaro – nei confronti di tutte le altre valute - è in rialzo (anche se quello reale si deprezza da gennaio).

Non tutto quadra inoltre nella ripresa americana. Il pil nominale, che “contiene” anche l’inflazione ed è una misura importante del successo di una politica monetaria e della sostenibilità dei debiti nazionali, resta lento, e nel 2015 ha addirittura frenato, al 3,5% dal 4,1% del 2014. Per decenni, prima della Grande recessione, era cresciuto a un ritmo del 5% annuo.

Il primo trimestre dell’anno non sembra essere andato molto bene neanche per il Pil reale. La Fed di Atlanta ha introdotto un indice settimanale per “vedere ora” e non “pre-vedere” il pil, il Gdpnow, che indica per il prodotto interno lordo del primo trimestre 2016 in crescita dello 0,4% contro il +1,4% del quarto trimestre 2015. Lo stesso indice, a febbraio, indicava fino al 2,7%. L’analogo indice della Fed di New York – annunciato per la prima volta il 12 aprile – punta a un +0,8% per il primo trimestre e a un +1,2% per il secondo (appena iniziato).

La situazione dell’occupazione non è infine misurata inoltre solo dal tasso di disoccupazione. Da tempo la Federal reserve sottolinea alcuni fattori – la richiesta non esaudita, per esempio, di posti a tempo pieno – che segnalano un cattivo funzionamento del mercato, e dal 2014 elabora un indice delle condizioni del mercato del lavoro – un riassunto dei principali indicatori - che a marzo era a quota -2,1, in leggero rialzo dal -2,4 di febbraio: è dai tempi della Grande recessione che non si toccavano livelli così bassi.

Non sembra una situazione in cui abbia senso lanciare il messaggio che si ha fretta di procedere nella normalizzazione dei tassi. Anche se le condizioni finanziarie degli Stati Uniti indicano ancora una situazione di forte allentamento, con una gradualissima tendenza al ritorno verso la normalità – i mercati, insomma, stanno facendo parte del lavoro della Fed – l’esito più probabile della riunione di aprile è un nulla di fatto, sia sul piano delle decisioni sia su quello della comunicazione.

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