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La Spagna torna alle urne il 26 giugno

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La Spagna torna alle urne il 26 giugno

  • –Luca Veronese

È toccato a re Felipe prendere atto ieri sera che «non esiste alcun candidato che possa essere proposto alla guida del governo» e che per la Spagna è inevitabile «tornare a votare entro i prossimi due mesi», probabilmente il 26 giugno.

La campagna elettorale in Spagna del resto è iniziata da tempo. Tutti contro tutti: i due partiti - quello popolare e quello socialista - che hanno sempre governato il Paese nella sua storia democratica; e i movimenti - Podemos da sinistra e Ciudadanos dal centro-destra - che hanno ribaltato il bipartitismo conquistando la protesta delle fasce più colpite dalla lunga recessione e lasciate indietro anche nella ripresa; con l’aggiunta delle formazioni nazionaliste regionali, dalla Catalogna ai Paesi Baschi.

«Siamo condannati a nuove elezioni. Non ho i voti sufficienti per superare il blocco del Partito popolare e di Podemos. Iglesias evidentemente vive meglio con Rajoy», ha detto il socialista Pedro Sanchez, dopo il colloquio con re Felipe, accusando gli indignati di Podemos per l’attuale paralisi politica e scartando la possibilità di una svolta da qui al 2 maggio, termine ultimo dopo il quale il Parlamento si scioglierà automaticamente. Mentre il premier uscente, Mariano Rajoy ha ribadito di non essere nelle condizioni di accettare alcun incarico di governo per la «chiusura totale al dialogo delle altre parti». Re Felipe, dopo due giorni di consultazioni con i leader parlamentari, ha poi chiuso la giornata annunciando di fatto le nuove elezioni.

La campagna elettorale è già iniziata, o forse non è mai finita in Spagna. In più di quattro mesi, tanto è passato dalle ultime elezioni dello scorso dicembre che hanno consegnato al Paese il Parlamento più frammentato di sempre, non si è mai stati nemmeno vicini a un accordo per formare un governo stabile. Aveva fallito subito il premier uscente, Rajoy, ammettendo di non avere «alcuna possibilità di trovare una maggioranza» disposta a sostenerlo. Mentre il socialista Sanchez era riuscito a coinvolgere nella sua alleanza solo Albert Rivera e Ciudadanos. Tra le accuse reciproche, ieri mattina era sfumata anche l’ultima trattativa per «un’alleanza di rinnovamento» tra socialisti, Podemos e Ciudadanos. La linea tenuta da Podemos è sempre molto chiara ma anche intransigente: Iglesias ha ribadito più e più volte la volontà di trovare un accordo ma riservandosi sempre il diritto di dettare le condizioni e il programma per accettare di entrare in un governo. Non ha mai trovato spazio - almeno fino a oggi - nemmeno la grande coalizione tra socialisti e popolari, l’unica maggioranza che avrebbe avuto almeno i numeri per governare stabilmente, magari nel nome dell’interesse nazionale. Bocciato, dai partiti e dal re, anche l’ipotesi di un governo di tecnici. «Meglio dare ai cittadini un’altra possibilità di esprimersi piuttosto che togliere senso ai meccanismi democratici con un governo di tecnici», dice anche Lluis Orriols, politologo dell’Università Carlos III da Madrid.

Anche le nuove elezioni potrebbero tuttavia non risolvere l’impasse: secondo i sondaggi anche dopo il voto di fine giugno il Parlamento potrebbe infatti restare “appeso”, incapace di esprimere una maggioranza di governo. Ma a quel punto una soluzione dovrà essere trovata. «Il Parlamento - dicono Apolline Menut e Antonio Garcia Pascual di Barclays Research - resterà frammentato ma la pressione sui grandi partiti sarà molto forte ed è probabile che si arrivi a formare un governo in tempi rapidi, probabilmente senza Podemos».

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