Mondo

A Helsinki torna il fantasma di «Fixit»: dibattito in Parlamento…

  • Abbonati
  • Accedi
finlandia

A Helsinki torna il fantasma di «Fixit»: dibattito in Parlamento sull’euro

Il nome, «Fixit», è ricalcato su altri spettri che agitano la sempre più tormentata Unione europea: la mai del tutto scongiurata «Grexit» e la temuta «Brexit» su cui i cittadini britannici si pronunceranno il 23 giugno. E si tratta per ora di un’ipotesi lontana. Intanto però il Parlamento finlandese ha tenuto un primo e inedito dibattito sulla possibile uscita di Helsinki dall’euro.

A renderlo necessario è stata una petizione popolare firmata da 53mila cittadini, che chiede un referendum per l’abbandono della moneta unica. Consultazione che si potrebbe tenere solo se a sostenerla fosse il Parlamento, il che non sembra probabile visto che nessun gruppo politico l’ha messa in agenda. L’iniziativa però riflette la crescente frustrazione per i risultati economici negativi del Paese (e per la conseguente austerity), di cui sempre più spesso viene incolpata l’appartenenza all’euro.

Non è un caso, del resto, che nell’attuale governo di centrodestra guidato dall’imprenditore Juha Sipilä sia entrato a far parte il Partito dei Finlandesi, il movimento euroscettico di Timo Soini, che ha ottenuto il 17,7% dei voti alle ultime elezioni. E, se è vero che nessun gruppo ha finora ipotizzato un referendum, alcuni parlamentari euroscettici si sono lamentati apertamente della mancanza di una politica monetaria indipendente e hanno criticato il fatto che la Finlandia non abbia tenuto una consultazione nel 1998, prima di adottare l’euro, come poi invece avrebbero fatto Svezia e Danimarca, che sono rimaste fuori dall’Eurozona. «L’euro - ha dichiarato Simon Elo - deputato dei Finlandesi - costa poco alla Germania e troppo al resto dell’Europa».

La Finlandia, dopo tre anni di recessione, è tornata a crescere (dello 0,5%) l’anno scorso, ma la ripresa stenta a decollare, tanto che la Commissione europea prevede che nel 2016 Helsinki registrerà la peggiore performance dopo la Grecia. La stagnazione è figlia di un mix di fattori, interni ed esterni: il crollo di Nokia e del settore Itc, un tempo traino dell’economia, la crisi dell’industria del legno e della carta, la perdita di competitività, la recessione della Russia, sbocco tradizionale dell’export finlandese, e le sanzioni incrociate Ue-Mosca legate alla crisi ucraina.

Alcuni economisti ritengono che un ritorno al vecchio marco finlandese migliorerebbe le prospettive, soprattutto quelle dell’export, visto che il Paese potrebbe tornare a svalutare la moneta, come faceva ampiamente prima del 1992. Il governo di Sipilä sta invece cercando di attuare un controverso piano di “svalutazione interna” (incluso l’allungamento dell’orario lavorativo) per ridurre il costo unitario del lavoro stesso e rimane impegnato a restare nell’euro. Durante il dibattito parlamentare, l’ex premier e attuale ministro delle Finanze, Alexander Stubb, ha dichiarato che in un’ipotetica «Fixit» sarebbero più i danni dei benefici, a cominciare dall’aumento del rischio Paese e dall’impennata dei tassi di interesse.

A questo punto la petizione passa all’esame di un comitato parlamentare e dovrà affrontare molti altri passaggi prima che venga, eventualmente, messa ai voti della plenaria per indire un referendum. Anche tra i cittadini, peraltro, la maggioranza rimane pro-euro: secondo un sondaggio diffuso dall’emittente pubblica Yle a dicembre, il 54% è favorevole a una permanenza nell’Eurozona (contro il 31% che vorrebbe uscire). Alla domanda se la Finlandia farebbe meglio fuori dall’Unione monetaria, però, il 44% ha risposto “sì”. Segno di un disagio crescente da non sottovalutare.

© Riproduzione riservata