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Turchia, Erdogan vince: il premier Davutoglu si dimette. Il…

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due linee di governo contrapposte

Turchia, Erdogan vince: il premier Davutoglu si dimette. Il rischio dell’uomo solo al comando

Recep Tayyip Erdogan  (Ap)
Recep Tayyip Erdogan (Ap)

Il premier turco Ahmet Davutoglu ha annunciato le sue dimissioni al termine di un vertice del partito di governo Akp, in cui è emersa l'impossibilità di restare in carica dopo lo scontro con il presidente Recep Tayyip Erdogan. L'Akp terrà un congresso straordinario il 22 maggio per eleggere il suo successore.

Davutoglu, ex ministro degli Esteri e ideatore dell’infelice e poi disatteso slogan di politica estera «zero problemi con i vicini», lascia la guida del governo e dell’Akp, partito islamico moderato al potere dal 2002 senza interreuzioni.

Lo scontro di potere è stato senza eslusioni di colpi tra il presidente della Repubblica Erdogan e l’ormai ex premier Davutoglu. Scontro che in realtà è su due modi di interpretare il futuro del paese da 80 milioni di abitanti: continuinità con una linea conservatrice moderata nei costumi e liberista in economia o il rischio di una svolta autoritaria in politica interna ed interventista in politica estera con riflessi sempre più negativi con i parter occidentali e della Nato, investitori internazionali compresi. Davutoglu ha avuto una forte capacità di dialogo con i leader europei e occidentali, Erdogan invece ama una politica di sfida, da potenza regionale con aspirazioni neo-ottomane in Medio Oriente e vuole trasformare il paese in una repubblica presidenziale.

Già in mattinata cominciavano a circolare i nomi dei probabili successori. In pole position, secondo il quotidiano tedesco Die Bild che cita fonti autorevoli interne all'Akp, sono il vice capo del governo, Numan Kurtulmus, e l'attuale ministro della Giustizia, Bekir Bozgag. Il futuro capo del partito - e quindi, come di prassi, del governo - sarà designato dal congresso dell'Akp (Partito per la giustizia e lo sviluppo) a fine maggio, prima del 6 giugno, data di inizio del Ramadan.

La giornata politica in Turchia si annunciava convulsa e cruciale per il destino del premier, dato in crescente contrasto con il capo dello Stato. In mattinata Davutoglu ha incontrato il comitato centrale dell'Akp, mentre alle ore 14 locali vedrà il capo dello Stato maggiore Hulusi Akar. Questo secondo appuntamento è probabilmente legato alla questione siriana, dove gli ultimi sviluppi, in particolare nella città di Aleppo, potrebbero spingere la Turchia a qualche iniziativa. E anche Erdogan, che nel pomeriggio vede il capo dell'intelligence Hakan Fidan e riceve il ministro della Difesa del Qatar, sembra oggi concentrato sulla Siria, più che sulla politica interna. Ma il giro di consultazioni inevitabilmente si intrecciava con il grande punto interrogativo di queste ore: Davutoglu va verso le dimissioni? La risposta ora è sì.

Davutoglu parlerà dopo i colloqui al comitato centrale e c'è grande attesa per quello che dirà: secondo il quotidiano Milliyet, che segue da vicino gli sviluppi del complicato rapporto tra premier e presidente, Davutoglu non voleva dimettersi e voleva evitare lo showdown di cui si parla dopo i 90 minuti di colloquio tra i due, ieri sera. Ma tra Erdogan e il suo capo di governo le cose si erano già fatte più complicate. Oltre alle divergenze sull'accordo con l'Ue per il rientro in Turchia dei migranti dalla Grecia (che il primo ministro avrebbe chiuso con un colpo di mano, senza consultare all'ultimo minuto il presidente), i due hanno visioni diverse sulla questione curda, sulla questione degli accademici - nel mirino per aver firmato una petizione per la pace con il Pkk - e in generale su molte vicende, che l’ormai ex premier tende a gestire con linea più morbida.

Ultimi, eloquenti segnali di un conflitto oggi al culmine è stata la cancellazione di un incontro negli Usa tra Davutoglu e il presidente Barack Obama. Una cancellazione decisa dalla presidenza, non certo dal capo del governo, che si è visto anche ritirare la delega per la nomina degli amministratori locali dell'Akp. Sullo sfondo delle molte tensioni, il fatto che Erdogan, abituato a decidere e scegliere da solo, vuole sempre di più agire da «unico uomo al comando». E spesso non gradisce i modi diplomatici di Davutoglu, per non parlare della nuova tendenza a prendere inziative da solo, come per l'intesa con Angela Merkel sui migranti.

Le reazioni degli analisti
«Questo sviluppo politico è il risultato della lotta di potere tra Erodgan e il premier ed è possibile che conduca a una prolungata incertezza nel paese, ora che il ciclo elettorale non ancora terminato probabilmente esporrà i forti squilibri macroeconomici della Turchia. Il nostro approccio alla costruzione dei portafogli basato sui fondamentali continua a indicare la Turchia come uno dei più vulnerabili tra i grossi mercati emergenti, in considerazione dell'elevata leva finanziaria e degli squilibri esterni. La forte impennata nei rischi politici non farà altro che puntare ulteriormente i riflettori sulla debolezza economica del paese», dice Salman Ahmed, Chief Global Strategist di Lombard Odier Investment Managers.

«In futuro, ci aspettiamo che l'incertezza resti significativa fino alla nomina di un nuovo primo ministro, sebbene sia probabile che un ulteriore consolidamento del potere di Erdogan sia oggi un timore strutturale. Resta inoltre da vedere se la banca centrale turca invertirà il suo corso di politica monetaria, vista la rinnovata debolezza della lira. Nel più ampio complesso dei mercati emergenti, l'evento è uno shock per il sentiment dopo settimane di buone performance ed è improbabile che danneggi il trend sottostante di costante ripresa, mentre le banche centrali restano caute o in modalità di allentamento, mantenendo bassi o negativi i tassi delle economie avanzate», conclude Salman Ahmed.

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