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L’Aiib muove i suoi primi passi in Pakistan

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Investimenti in Asia

L’Aiib muove i suoi primi passi in Pakistan

(Reuters)
(Reuters)

L’Asian infrastructure investment bank, la banca voluta dalla Cina per sostenere gli investimenti infrastrutturali in Asia, muove i primi passi e con la collaborazione dell’Asian development bank (Adb), finanzierà un’autostrada in Pakistan. Le dimensioni del progetto lo relegherebbero tra i tanti avallati dagli istituti per lo sviluppo: una striscia d’asfalto di 64 chilometri tra Shorkot e Khanewal, nel Punjab, per un costo di 273 milioni di dollari. Ma l’annuncio dato lunedì a Francoforte, durante il 49° meeting annuale dell’Adb, significa molto di più: segna il debutto operativo dell’Aiib (secondo l’acronimo inglese), la prima pietra di quel ponte che immagina di costruire tra Asia e Europa, come ha spiegato il suo presidente Jin Liqun, intervenuto ieri al vertice, nella convinzione che «un’Asia più sviluppata sarà una risorsa» per tutti.

Jin ha cercato di vincere la diffidenza con la quale l’istituto è stato accolto da quanti, soprattutto negli Stati Uniti, la considerano un nuovo strumento dell’espansionismo di Pechino, determinata com’è ad accrescere la propria influenza in Asia. Con le “buone”, come quando pianifica investimenti per 46 miliardi di dollari proprio in Pakistan (ma è solo un esempio). E con le “cattive”, quando invece costruisce isole artificiali nel Mar della Cina meridionale per assicurarsene la sovranità territoriale a scapito dei propri vicini.

Secondo le stime, l’Aiib punta a investire in media 10-15 miliardi di dollari l’anno fino al 2022. Oltre a quello in Pakistan, ha già pronti altri due progetti in Tajikistan e Kazahkstan. Iniziative strettamente collegate al faraonico progetto promosso dal presidente cinese Xi Jinping di costruire una nuova Via della seta (la One belt one road initiative), un corridoio infrastrutturale via terra e via mare tra Asia ed Europa, che ha come capolinea Venezia. L’area potenzialmente coinvolta rappresenta il 55 % del Pil del mondo, il 70 % della sua popolazione e il 75 % delle riserve energetiche. Stando ad alcune stime, Pechino sarebbe pronta a investire 300 miliardi di dollari nei prossimi anni in questo ambizioso progetto.

Annunciata dallo stesso Xi nel 2013 e attiva dallo scorso gennaio, l’Aiib conta su un capitale di 100 miliardi di dollari e ha sede a Pechino. La Cina ne controlla il 30% e ha il 26% dei voti, con potere di veto sulle decisioni strategiche, per le quali serve il 75%. Gli altri azionisti principali sono India, Russia e Germania. C’è anche l’Italia, con il 2,62%, e poi Regno Unito, Francia, e Spagna. I soci sono in tutto 57. Nonostante l’irritazione di Washington, Pechino non ha dovuto faticare molto a convincerli. Solo il Giappone, tra i grandi alleati degli Usa, resta fuori.

«La nuova via della seta e l’Aiib sono collegate, ma non sono la stessa cosa», ha però assicurato ieri Jin, nel tentativo non semplice di affrancare l’istituto dall’immagine di braccio finanziario di Pechino. Viceministro delle finanze del Governo cinese nel 1998, prima di salire alla guida dell’Aiib, Jin è stato presidente della China international capital corporation e prima ancora vicepresidente dell’Adb. Nel curriculum di Jin c’è anche un passaggio alla Banca mondiale ed è su queste credenziali che ha fatto leva nel suo intervento.

Se la domanda che da sempre insegue l’Aiib è perché creare una nuova banca per lo sviluppo quando ci sono già la Banca mondiale, l’Fmi e l’Adb, la risposta di Jin è stata che «queste organizzazioni sono state create decenni fa e nel frattempo l’economia è cresciuta e molto. Inoltre, l’Aiib ha una missione specifica, finanziare le infrastrutture. Non è un clone delle altre istituzioni, anzi può essere complementare». Nello sforzo di accreditarsi tra gli organismi internazionali, il 13 aprile, l’Aiib ha siglato con la Banca mondiale un accordo di cooperazione in una serie di progetti d’investimento.

«Il nostro obiettivo - ha ribadito Jin - non è mettere fuori mercato Banca mondiale e Adb, non ci riusciremmo nemmeno volendo. Quello che possiamo fare, invece, è aiutare i Paesi emergenti a costruire legami più forti con l’Europa. La linea che divide l’Europa dall’Asia è una linea arbitraria, tracciata dall’uomo, non l’ha creata Dio. Superarla è il nostro obiettivo».

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