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Schiaffo di Erdogan a Bruxelles

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Schiaffo di Erdogan a Bruxelles

  • –Vittorio Da Rold

La Turchia non modificherà la propria controversa legge sul terrorismo, che il governo sfrutta anche per colpire i media di opposizione, nonostante questa modifica sia contenuta tra le 72 condizioni per eliminare i visti dei cittadini turchi in visita nell’Unione europea. La fine dei visti (oltre al versamento di sei miliardi di euro di aiuti) fa parte dell’intesa siglata a marzo tra Ue e Turchia per ridurre gli sbarchi dei migranti in Grecia con la conseguente chiusura della “via balcanica” al confine greco-macedone.

«Andiamo avanti per la nostra strada», ha detto il capo dello Stato, Recep Tayyp Erdogan, che l’altro ieri aveva silurato il premier Ahmet Davutoglu, giudicato troppo dialogante con l’Ue, le opposizioni interne e la minoranza dei curdi.

«Ci chiedono di cambiare la legge sul terrorismo, ma si dimenticano che siamo sotto attacco da quattro fronti», ha aggiunto Erdogan, che ha poi chiesto retoricamente all’Europa perché abbia permesso ai curdi siriani del Pyd di montare un gazebo, a marzo, di fronte al Parlamento europeo: «Permettono a terroristi di fare propaganda e pretendono di farlo in nome della democrazia? Poi ci chiedono di cambiare le leggi contro il terrorismo, su questo non ci siamo capiti e forse è bene che ognuno vada per la propria strada».

Pronta la reazione del premier Matteo Renzi da Firenze, intervenendo allo State of the Union: «Ciò che avviene in Turchia pone sotto un’altra luce, pone un interrogativo sull’accordo», tra Unione Europea e governo di Ankara. «L’accordo con la Turchia non può essere la sola soluzione», ha aggiunto.

Che la Turchia si stia irrigidendo è apparso anche dalle affermazioni di altre personalità politiche. Modifiche alla legge anti-terrorismo sono state escluse ieri dal ministro turco per gli Affari Europei, Volkan Bozkir, un fedelissmo di Erdogan che forse aspira - come Berat Albayrat, ministro dell’Energia e genero di Edogan e Binali Yildirim, ministro dei Trasporti - alla carica di premier. «Non è possibile fare alcuna revisione della legislazione sul terrorismo mentre il nostro Paese continua la sua battaglia contro diverse organizzazioni terroristiche», ha dichiarato il ministro Bozkir.

Una legge anti-terrorismo usata anche nel Sud-Est del Paese nei confronti della minoranza curda e contro gli oppositori politici e i rappresentanti dei media. A rischiare la prigione per aver insultato il presidente c’è l’editorialista di politica internazionale Cengiz Candar, oltre a Murat Belge, uno dei maggiori intellettuali turchi, e il direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dundar, insieme al suo caporedattore centrale, Erdem Gul, per lo scoop sul passaggio di carichi di armi in Siria protette dal Mit, il servizio segreto turco. E proprio ieri Dundar è stato oggetto di un tentato omicidio da un assalitore che ha sparato due colpi di pistola, prima di essere bloccato dalla moglie e dall’avvocato di Dundar e poi dalla polizia. Questo non ha impedito che i due gionalisti venissero poco dopo condannati a cinque anni e 10 mesi di prigione per «aver rivelato segreti di stato».

All’indomani della cacciata di Ahmet Davutoglu dalla guida del governo Akp, il partito di maggioranza al potere da 14 anni, sembra di essere di fronte a un momento molto teso nei rapporti tra Ankara e Bruxelles. Proprio il ministro per i rapporti con l’Ue, Bozkir, prepara l’importante trasferta della prossima settimana, quando si recherà a Strasburgo e Bruxelles, dove troverà un’Europa spiazzata dagli ultimi cambiamenti politici sul Bosforo.

Lo scorso 4 maggio la Commissione europea aveva invitato i Paesi membri a eliminare i visti per i turchi che vogliano recarsi nell’area Schengen. Un risultato che assumerebbe nel Paese un forte peso politico, e che lo stesso Davutoglu ha indicato come la principale contropartita dell’accordo che prevede il respingimento in Turchia dei migranti approdati sulle isole greche.

L’eliminazione dei visti ai cittadini turchi dipende ora dagli Stati membri e dal Parlamento europeo, mentre ad Ankara, dove attendono l’ultima tranche dei primi 3 miliardi di euro previsti dall’accordo, minacciano velatamente di sospendere controlli e respingimenti. L’Europa ha bisogno della Turchia nella gestione della crisi rifugiati, Ankara invece, con il braccio di ferro innescato da Erdogan, sta alzando pericolosamente la posta dell’accordo. Una partita a poker il cui esito potrebbe essere una perdita per entrambi i giocatori.

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