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Tre crisi: istituzionale, economica e sociale

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l’intreccio

Tre crisi: istituzionale, economica e sociale

(Reuters)
(Reuters)

Il Brasile nel pallone, il Brasile di... un colpo di scena al giorno. Questo Paese grande diventato un grande Paese pare irriconoscibile, rispetto a pochi anni fa. Se ne parlava e soprattutto se ne scriveva come di una locomotiva latinoamericana ma soprattutto di se stessa. Un Brasile trasformato, più ricco, meno iniquo e, al di là di ogni aspettativa, stabile e affidabile. Ora sembra che si sia sgretolato tutto in pochi mesi.

Tre statisti illuminati, Fernando Henrique Cardoso, Luiz Inacio Lula da Silva e Dilma Rousseff, lo avevano accompagnato nel pantheon di quel primo mondo anelato per decenni. Ora due di questi tre presidenti, Lula e Rousseff, debbono difendersi da accuse politiche e giudiziarie quanto meno ingiuriose.

A rendere più complessa l’uscita da questa impasse è la sovrapposizione delle crisi: in Brasile non vi è solo una crisi istituzionale, ma ce n’è una politica, una economica e una sociale.

I numeri della recessione
La crescita vigorosa degli ultimi 10 anni è un ricordo vivido nella mente dei brasiliani, schematizzata dai report delle agenzie di rating che ne avevano rimarcato il trend positivo. Oggi invertito in modo brusco: il Pil ha patito una contrazione del 3,8%, nel 2015. È il dato peggiore degli ultimi 25 anni. Nel 1990 scivolò del 4,3 per cento. Le flessioni più marcate sono state registrate nei settori industriale (-6,4% dell’output) e minerario (-6,6%). Alle prese con un’inflazione al 10,7%. L’economia brasiliana ha subìto le conseguenze del calo dei prezzi delle materie prime di cui il Paese è forte esportatore e il rallentamento della domanda cinese, così come l’instabilità valutaria e la fuga di capitali. I dati dell’economia reale sono quindi sconfortanti e la politica monetaria non è la leva utilizzata per dare slancio alla ripresa: il tasso di interesse di riferimento (denominato Selic) è al 14,25% , e il presidente della Banca centrale, Alexandre Tombini, continua a ribadire la linea di politica monetaria restrittiva, anche per non dare ossigeno all’inflazione, che negli ultimi tempi si è attestata al 10,7 per cento.

Il ciclone delle tangenti
Nel 1953 il presidente Getulio Vargas, contestualmente alla creazione di Petrobras (il colosso energetico del Paese) coniò una forma espressiva evocativa, nosso petroleo, il nostro petrolio. Che rimandava a una ricchezza di tutti i brasiliani, fondamentale nello sviluppo del Paese. Sessantadue anni dopo, nel 2015, Petrobras si è trasformato nell’epicentro di una crisi giudiziaria e persino morale. Collettore di tangenti, ricevute ed estorte alle grandi imprese industriali del Brasile e poi redistribuite ai partiti politici. Uno scandalo che ha investito l’intera classe politica del Paese e che ha disgregato una società di 200milioni di persone.

La crisi sociale
Il consenso superiore all’80% - raggiunto da Lula alla fine del suo secondo mandato - non è stato solamente un record assoluto mai eguagliato da nessun Paese democratico. È stato soprattutto la rappresentazione più efficace di una coesione sociale scaturita dal combinato disposto di due fattori: l’ingresso trionfale di 35 milioni di poveri nella classe media e la stabilità delle variabili macrofinanziarie. La depressione congiunturale e lo tsunami giudiziario hanno disgregato quel prezioso patrimonio di governabilità. E acceso una conflittualità sociale mai registrata negli ultimi 60 anni.

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