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11 settembre, il Senato Usa sfida Riad (e la Casa Bianca)

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l’america e i sauditi

11 settembre, il Senato Usa sfida Riad (e la Casa Bianca)

  • –di Marco Valsania
Il segretario di Stato americano John Kerry (a sinistra) con re Salman a Jeddah, il 15 maggio scorso
Il segretario di Stato americano John Kerry (a sinistra) con re Salman a Jeddah, il 15 maggio scorso

Il Congresso americano alza il tiro contro l’Arabia Saudita. Il Senato ha approvato all’unanimità una legge che consentirebbe per la prima volta denunce contro lo scomodo grande alleato del Golfo Persico se trovato responsabile negli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.

La legislazione deve ancora essere esaminata dalla Camera, e l’amministrazione di Barack Obama ha minacciato di bloccarla con il veto presidenziale. Ma l’approvazione da parte del Senato, tradizionalmente il più cauto dei due rami del Parlamento, rappresenta un’escalation della tensione tra Washington e Riad, divenuta sempre più accesa. Lo stesso Obama aveva di recente accusato alleati quali i sauditi di «parassitismo», di non fare cioè abbastanza in cambio degli aiuti e della protezione garantita dalle forze armate degli Stati Uniti al Paese.
La nuova disputa ha già spinto Riad a minacciare rappresaglie: il governo ha fatto sapere che in caso di varo definitivo di una simile legge potrebbe dare il via a vendite in massa dei 750 miliardi di dollari in titoli del Tesoro statunitense e altri asset d’oltreoceano oggi nelle sue casseforti, con l’obiettivo di evitare che possano essere congelati da battaglie legali nei tribunali americani. Il messaggio è stato consegnato direttamente all’amministrazione e al Congresso dal Ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir in marzo.

Finora i ricorsi tentati da familiari delle vittime e altre associazioni contro funzionari e enti sauditi, in particolare membri della famiglia reale e loro controllate, per accusarli di un ruolo negli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono sono stati bloccati dalle esistenti norme di legge. Un atto del 1976 garantisce ai Paesi stranieri un livello di immunità proprio da casi portati nelle corti statunitensi.

La legislazione ora votata dal Senato, invece, prescrive una esplicita eccezione a questa immunità: quando una nazione estera venga trovata colpevole o responsabile in relazione ad attentati che uccidano cittadini americani nel territorio degli Stati Uniti. Un varo della riforma, così, aprirebbe un immediato e automatico varco ai ricorsi già presentati per esaminare un ruolo di esponenti sauditi nell’11 settembre.

Obama ha risposto con lo spettro del veto facendo leva anzitutto su un argomento di sicurezza: strappare l’immunità ai governi stranieri rischia di mettere a serio rischio quantomeno di ritorsioni legali sia le truppe americane, che i civili e le aziende statunitensi impegnati a operare all’estero. L’amministrazione ha tuttavia anche in mano documenti potenzialmente scottanti e finora rimasti segreti, che sta considerando se declassificare e che potrebbero aumentare le polemiche: in gioco è una decisione sulla pubblicazione di almeno parte dell’inchiesta congressuale del 2002 negli attentati dell’11 settembre, che nelle 28 pagine di conclusioni, secondo quanto trapelato, citerebbe indicazioni che funzionari e cittadini sauditi negli Stati Uniti potrebbero aver aver avuto qualche ruolo nell’attacco terroristico. La successiva Commissione speciale sull’11 settembre, che esaminò a fondo la tragedia, escluse invece l’esistenza di alcuna prova di un coinvolgimento saudita, e i suoi leader ancora di recente hanno definito le iniziali conclusioni delle indagini congressuali del 2002 come fondate su «materiali grezzi e non verificati».

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