Tanto rumore per nulla. O quasi. È questa l’impressione che si ha di fronte al clima di altissima tensione e di scontro – politico e sociale, con la spaccatura interna al partito socialista, gli scioperi e le manifestazioni sindacali – che si è creato intorno alla legge di riforma del mercato del lavoro.
Va detto che presidente e Governo – segnati da una crisi di popolarità che ne intacca potere e legittimazione – si sono mossi malissimo, fin dall’inizio. D’un lato perché hanno affidato la gestione di una riforma così delicata e complessa (ispirata dal ministro dell’Economia Emmanuel Macron, al quale non si voleva dare spazio politico perché ritenuto un potenziale, pericoloso, avversario interno) alla neofita Myriam El Khomri. Sottosegretario alle Politiche urbanistiche nel secondo Governo Valls e promossa a sorpresa ministro del Lavoro pochi mesi fa. Una signora molto sorridente, anche troppo, ma alquanto inesperta (tutti ricordano un’intervista in cui ha ammesso di non sapere per quante volte le imprese possono rinnovare i contratti a tempo determinato).
Dall’altro perché non si sono premurati di ottenere il preventivo via libera dei sindacati cosiddetti “riformisti”. Di “coprirsi” insomma a sinistra. Dando a tutti la sensazione che le legge avesse di fatto recepito solo le richieste delle organizzazioni imprenditoriali.
Nella sua prima versione, quella presentata dal Governo a marzo come «la migliore delle leggi possibili», la riforma era oggettivamente molto innovativa, quasi rivoluzionaria, per l’arcaico, anacronistico e ipergarantista mercato del lavoro francese.
Di fronte alle minacce sindacali, alle proteste degli studenti e al rischio di una contestazione generalizzata, Hollande e Valls hanno rapidamente fatto marcia indietro sui punti chiave, caratterizzanti del progetto: la fissazione di un tetto alle indennità di licenziamento (da 3 a 15 mesi di retribuzione), confermando l’attuale discrezionalità lasciata ai giudici del lavoro; la possibilità per i gruppi multinazionali di varare dei piani di ristrutturazione (con tagli degli organici) sulla base dell’andamento del singolo impianto francese e non – come accade ora ed è stato confermato – sui risultati dell’intero gruppo; l’opportunità per le piccole e medie imprese di concordare con il singolo dipendente delle variazioni dell’orario di lavoro (ricorrendo al cosiddetto “forfait giorno”); l’aumento, in caso di necessità, dell’orario degli apprendisti senza previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Cosa rimane quindi della formula iniziale? Per cosa la Francia si sta dividendo in maniera così clamorosa? Quali sono i punti principali del provvedimento per il quale il Governo ha deciso di ricorrere alla fiducia?
Licenziamenti per ragioni economiche. Il testo fissa per la prima volta in modo chiaro i criteri che consentono all’impresa di procedere. E cioè un calo dei ricavi di un trimestre per le aziende con meno di 11 dipendenti, di due trimestri consecutivi per quelle tra 11 e 50 addetti, di tre per quelle da 50 a 300 lavoratori e quattro per quelle con oltre 300 addetti. Ovviamente bisogna sempre passare da un accordo sindacale.
Referendum aziendale. Nel caso di accordo approvato da uno o più sindacati che hanno almeno il 30% dei consensi, l'impresa può ricorrere al referendum. In caso di vittoria dei “sì” l'intesa viene applicata e chi si oppone può essere licenziato (ma per ragioni economiche e non individuali, quindi con un trattamento migliore). Cade la possibilità di veto da parte di sindacati che hanno almeno il 50% dei consensi.
Accordi “offensivi”. Attualmente un'impresa può concordare con i sindacati una flessibilità dell'orario in caso di difficoltà (accordi “difensivi”). D'ora in poi potrà farlo anche per far fronte a un aumento della domanda. Ma il livello mensile della retribuzione non potrà cambiare. Anche in questo caso chi rifiuta potrà essere licenziato per ragioni economiche.
Primazia degli accordi aziendali. Le intese aziendali sull'orario e sulla retribuzione degli straordinari faranno premio su quanto previsto a livello di categoria (anche se la categoria manterrà un controllo). In concreto, le aziende potranno concordare con i sindacati una maggiorazione della retribuzione delle ore di straordinario (cioè al di là della 35ma ora settimanale) più bassa di quella prevista per la categoria (oggi mediamente del 25%), ma comunque non inferiore al 10 per cento.
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