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Le previsioni Istat: nel 2016 Pil a +1,1%

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le stime sulla crescita

Le previsioni Istat: nel 2016 Pil a +1,1%

Sia pur con un differenziale negativo di mezzo punto rispetto alla media dei paesi dell’Eurozona, l’economia italiana continuerà a crescere quest’anno fino a segnare una variazione in termini reali del Pil dell’1,1%; tre decimali in più di quanto fatto nel 2015 e un decimale in meno di quanto prevede il Governo nel Def. È quanto stima l’Istat nella prima previsione annuale (la seconda arriverà a metà novembre). Il documento pubblicato ieri segue di pochi giorni la misurazione sul Pil del primo trimestre (+0,3%) e sarà seguito dai dati più analitici di fine mese, con la fotografia delle componenti del prodotto sul lato delle risorse e degli impieghi.

La previsione Istat di ieri corregge al ribasso dello 0,3% quella fatta nel novembre scorso alla luce di una più modesta dinamica delle esportazioni e di uno scenario internazionale caratterizzato da un rallentamento delle economie emergenti, una frenata di quella statunitense (giunta all’83esimo mese consecutivo di ripresa) un lieve apprezzamento dell’euro e una stabilizzazione del prezzo del petrolio poco sopra i 40 dollari al barile (Brent).

Driver della debole crescita, stimata tenendo conto delle misure descritte nel Def di aprile, è la domanda interna (al netto delle scorte) che contribuirebbe per un 1,3% al Pil, mentre la domanda estera netta e la variazione dei magazzini peserebbero in negativo dello 0,1% ognuna. Il consolidamento comunque è in corso e lascerà i suoi segni: la spesa delle famiglie in termini reali è stimata in aumento dell’1,4%, alimentata dall’incremento del reddito disponibile e dal miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, dove si registrerebbero progressi sul fronte occupazionale (+0,8% in termini di unità di lavoro) accompagnati da una riduzione del tasso di disoccupazione, che è stimato attestarsi all’11,3% (contro l’11,9 dell’anno scorso). Nella seconda metà dell’anno dovrebbero muoversi anche i prezzi al consumo: dopo la caduta del tasso su base annua in aprile (-0,5%) si dovrebbe arrivare a variazioni più sostenute a fine anno anche se sotto la soglia dell’1 per cento.

Un altro significativo segnale di consolidamento arriva sul fronte degli investimenti, previsti in ripresa del 2,7%, grazie al rafforzamento delle attese sulla crescita dell’economia e al miglioramento delle condizioni del mercato del credito. La ripresa della spesa per investimento iniziata l’anno scorso (+0,8%) segna la fine del grande crollo registrato negli anni della crisi: tra il 2009 e il 2015 nell’area euro la quota degli investimenti totali rispetto al Pil è diminuita dell’1,3%, in Germania dello 0,8% mentre in Italia e Spagna il calo è stato rispettivamente di 3,5 punti percentuali e di 3,9 punti percentuali. La “recessione degli investimenti” non è stata uguale nei paesi dell’area monetaria: in Italia si sono ridotti meno quelli in macchinari e attrezzature (-2%) mentre sono cresciuti meno quelli della componente immateriale. Per esempio: ponendo a 100 il valore degli investimenti in «prodotti della proprietà intellettuale» a prezzi concatenati del 2007, nel 2015 il livello dell’Italia risultava pari a 102 mentre per l’area euro e per i principali paesi europei il livello raggiunto era a circa 120. Pochi investimenti in Ricerca e sviluppo hanno lasciato il segno sulla produttività, tanto è vero che quella dell’Italia del 2015 (misurata come Pil per ora lavorata) è ancora inferiore a quella del 2007, mentre negli altri paesi Uem è tornata sopra quella soglia.

Interessante, in questa prospettiva, l’analisi econometrica offerta per dimostrare come la spesa per investimenti immateriali sia più elastica all’incertezza e alla variazione dei tassi d’interesse, anche in questo caso con conseguenza negative sulla produttività. Nell’analisi di policy si conclude infine con una stima d’impatto delle recenti misure fiscali per le imprese (eliminazione Irap sul costo del lavoro per i contratti standard, maxi-ammortamenti sui beni strumentali e potenziamento della detassazione dal reddito d’impresa del rendimento figurativo del capitale proprio; il cosiddetto Ace, aiuto alla crescita economica). Le prime due misure non avrebbero prodotto grandi vantaggi per le aziende manifatturiere ad alta intensità tecnologica mentre i maxi-ammortamenti avrebbero avvantaggiato di più le società di servizi. Il potenziamento dell’Ace, invece, ha cancellato lo storico divario nel trattamento fiscale del finanziamento di un investimento con capitale proprio e debito assicurando la convenienza a reinvestire i profitti realizzati. Ma anche in questo caso la selezione non è stata a favore delle imprese ad alta intensità tecnologica.

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