
«Arginare il flusso migratorio dall'Africa? Non aspettatevi un miracolo dall’Africa. Non accadrà. Ma credo che l’Europa debba trattarci come un’opportunità piuttosto che come la causa dell’attuale crisi». Quando l’intervista vira sull’emergenza migrazione, Nkosazana Dlamini-Zuma non fa sconti a nessuno. La prima donna che presiede dal 2012 la Commissione dell’Unione africana, e che punta a rafforzare il ruolo delle donne nel Continente, è sempre affabile e cortese, ma ferma nelle sue posizioni. L’Africa, d’altronde , la conosce bene. In molti dei suoi aspetti. Anche come ex moglie del presidente sudafricano Jacob Zuma, e come ministro della Salute nel primo governo di Nelson Mandela, dopo la fine dell’apartheid. Su un altro spinoso problema, la gestione della crisi libica, il monito somiglia ad un rimprovero. «Non riteniamo che ulteriori azioni militari in Libia risolveranno i problemi del paese, anzi, a mio avviso complicheranno ancora di più le cose».
Presidente Zuma, il flusso migratorio che dall’Africa preme sulle coste europee sta assumendo dimensioni insostenibili. Esiste una soluzione di breve termine per cercare di risolvere, o quantomeno arginare, questo problema?
La migrazione risale alla storia dell’umanità. Nessuno è mai riuscito a fermala nel breve termine. D’altronde anche voi europei, dopo la seconda guerra mondiale, siete emigrati in massa. In Sud America e in Nord America. Non aspettatevi un miracolo dall’Africa. Non accadrà. Io credo che se nel medio-lungo termine riusciremo a trasferire il know how ai nostri giovani, in modo che abbiano un lavoro e siano capaci di creare loro stessi posti di lavoro, se riusciremo a sviluppare la nostra industria, a migliorare la nostra agricoltura in modo da poter essere autosufficienti, la situazione potrebbe migliorare. Ma ciò non fermerà la migrazione, A mio avviso la differenza è questa: oggi la gente emigra per disperazione, domani lo farà per scelta.
Ma, rispetto ai rifugiati, i Paesi europei ritengono che la migrazione per motivi economici debba essere contenuta con misure ad hoc.
Credo che l’Europa debba trattarci come un’opportunità piuttosto che come la causa dell’attuale crisi. I Paesi europei hanno una popolazione che sta invecchiando. L’Africa è il Continente con il tasso di crescita demografico maggiore. Se lavoriamo insieme, e formiamo i nostri giovani, possiamo cercare di risolvere il problema. Eppure molti Paesi europei spendono ingenti cifre nello sviluppo della robotica. Pensano che i robot possano sostituire gli essere umani. È possibile solo per certi aspetti. Per il resto non è corretto. I robot non pagano le tasse e non contribuiscono alle pensioni. Vi faccio appello a lavorare insieme; la giovane popolazione dell’Africa può esser complementare a quella più vecchia dell’Europa. Io peraltro credo che l’Europa debba arrivare ad una politica sulla migrazione, che sia conoscibile in Africa. In modo che le persone che intendono migrare in modo legale possano farlo. Se lavorassimo insieme per una soluzione comune in una cornice legale, si assesterebbe un duro colpo al business della tratta degli esseri umani. Voglio tuttavia sottolineare che l’Europa non dovrebbe pensare che l’attuale crisi sia dovuto all’Africa. La maggior parte sono rifugiati che provengono da aree di crisi in Medio Oriente. Fare dell’Africa il capro espiatorio non aiuterà gli europei a risolvere il problema.
Da tempo lei chiede una maggior coinvolgimento dell’Unione Africana, un ruolo di primo piano, nella crisi libica.
Lo ribadisco. L’Unione Africana dovrebbe essere maggiormente coinvolta nella gestione della crisi libica. La Libia è un paese africano e fa parte dell’Unione africana (Ua). Noi abbiamo nominato un nostro inviato per la crisi libica, l’ex presidente della Tanzania, Jakaya Mrisho Kikwete,in modo da lavorare con le Nazioni unite e sostenere la posizione dell’Ua. I conflitti in cui l’Unione Africana è stata coinvolta sono stati contenuti in modo più rapido, e in parte migliorati. Cosa che invece non sta accadendo in Libia. Se vogliamo una soluzione sostenibile – e di lunga durata per la Libia – è necessario coinvolgere tutte le parti, con una soluzione inclusiva. Certo, a volte richiede più tempo, ma potrebbe portare a un risultato e a una situazione più sostenibile.
Lei considera una missione di peace keeping in Libia, come in Somalia, asuspicabile?
Non riteniamo che ulteriori azioni militari in Libia risolveranno i problemi del Paese, anzi, a mio avviso complicheranno ancora di più le cose. Ma credo che tuttavia una missione di peace keeping mission sarebbe comunque qualcosa di diverso rispetto a quanto gli europei hanno fatto prima. Ma, ripeto, prima di tutto abbiamo bisogno di un accordo che sia veramente inclusivo. Dobbiamo provarci. E come minimo dovremmo portare al tavolo negoziale le due parti rivali (il Govenro di unità nazionale di Tobruk e quello di Tobruk, Ndr) .
In ottobre lei terminerà il suo mandato come presidente dell’Unione Africana. Quali sono le prospettive dell’Africa rispetto a quattro anni fa?
Abbiamo un piano, mi riferisco all’Agenda 2063, che richiede una visione di lungo termine in merito a come l’Africa debba svilupparsi per divenire un Continente ricco, pacifico, e integrato. Se ci concentrassimo su di un piano che preveda tempi brevi, saremmo messi subito in difficoltà dalle situazioni contingenti. L’agenda 2063 si concentra su un certo numero di settori: l’investimento nel capitale umano, al fine di accrescercene le competenze, l’educazione, lo sviluppo dei comparti tecnologici e di ingegneria. Senza dimenticare l’agricoltura. La sua modernizzazione deve portare ad una maggiore produttività. Dobbiamo renderla un settore che attrae le nuove generazioni. Come un business redditizio. Ci stiamo dunque concentrando sulla sua industrializzazione, su tecniche efficienti di irrigazione, sulla capacità di costruire macchinari e su quella di aprirci ai mercati. Per fare ciò le partnership con Paesi stranieri sono molto importanti, così come i prestiti da Paesi interessati, ma capaci di erogarli su larga scala.
Partnership e contratti con paesi stranieri come la strada principale da percorrere?
Certo, ma seguendo una logica di contratti win win. Che siano profittevoli per entrambi. Non chiediamo donazioni, ma partnership che portino investimenti in Africa, un territorio dove vi sono molte potenzialità come in nessun altro luogo al mondo. L’Africa deve divenire anche un produttore, non solo un Paese consumatore. Al di là dell’agricoltura la nostra priorità sono le infrastrutture – strade, ferrovie, porti – anche energetiche. Puntiamo sul settore delle rinnovabili. Ed in quest’area le partnership sono molto ricercate. Ma c’è un altro settore che l’Africa ha trascurato per un lungo tempo; la blue economy. Abbiamo due oceani, una grande risorsa. Dobbiamo destinare risorse per formare giovani in questo campo. A costo di essere ripetitiva sono benvenute le partnership con Paesi che hanno un’esperienza e un know how in questo settore. Naturalmente non vogliamo ripetere gli errori compiuti quando abbiamo fatto affari con la Cina. Non vogliamo che le donne africane siano escluse dal mercato del lavoro.
Capi di Stato e di Governo. Avvocati. Imprenditrici, grandi e piccole. Le donne saranno davvero la nuova speranza nello sviluppo economico dell'Africa?
Quando le donne sono coinvolte in un business si verifica un effetto moltiplicatore positivo. Rafforzare il ruolo delle donne nell’economia significa rendere le famiglie più istruite, migliori dal punto di vista sanitario, e più dedite ai risparmi. Le donne tendono a destinare il 70% del reddito alla famiglia. O ancora di più. Diverse ricerche indicano che gli uomini arrivano mediamente al 30 per cento. Non so dove finisca il resto. Ditemelo voi.
© Riproduzione riservata