Mondo

Tra i Grandi non c’è accordo sulle politiche per la crescita

  • Abbonati
  • Accedi
vertice del G-7 a sendai

Tra i Grandi non c’è accordo sulle politiche per la crescita

Foto di gruppo al G-7
Foto di gruppo al G-7

SENDAI. Se la presidenza giapponese sperava di uscire da questo G-7 con un pronunciamento corale a favore di stimoli di bilancio per produrre una maggiore crescita mondiale, si è trovata invece alle prese con una cacofonia di voci dissonanti.

Non solo quelle degli altri sei “grandi” del gruppo, ma anche degli economisti che aveva convocato per una discussione informale nella mattinata di ieri. Il fatto che il governatore della Banca del Giappone, Harukiro Kuroda, abbia parlato di «franco scambio di vedute» la dice lunga sul livello di accordo. Da un lato Christina Romer, che è stata capo dei consiglieri economici del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha predicato le virtù degli stimoli fiscali, dall’altro Martin Feldstein, che ricoprì lo stesso incarico sotto Ronald Reagan, ha ribattuto che è ora di stringere la cinghia sui deficit pubblici e che le banche centrali devono alzare i tassi d’interesse.

LA CRESCITA DEI GRANDI A CONFRONTO
Variazione annua del Pil dei Paesi del G-7. Base 2006 = 100 (Fonte: Fmi)

Fra i ministri, che diplomaticamente hanno evitato contrapposizioni troppo acute, il cancelliere dello Scacchiere britannico, George Osborne, e il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, hanno decantato le meraviglie dell’austerità. Che per Schäuble vuol dire fiducia, tanto che quella dei consumatori tedeschi è ai massimi, e che per Osborne significa omettere che in realtà la politica di bilancio nel Regno Unito è assai meno restrittiva che in molti Paesi europei. Il segretario al Tesoro Usa, Jacob Lew, che come da tradizione americana è da sempre paladino dell’importanza della domanda aggregata e dell’uso degli stimoli fiscali, ha ricordato invece che questi servirebbero, grazie alla maggior crescita, ad attenuare la grave incertezza della situazione attuale. Sulla stessa linea il direttore del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde. Diverse voci europee, fra cui, riferiscono alcuni partecipanti, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, e il suo collega francese, François Villeroy de Galhau, hanno sottolineato che più che i livelli della spesa pubblica conta la sua composizione e il fatto che sia indirizzata su aree che possano far aumentare il potenziale di crescita, come educazione, ricerca, infrastrutture.

Su un punto tutti sembrano concordare, banchieri centrali in testa: che la politica monetaria non può fare tutto e che ha bisogno delle altre “gambe” della politica economica, quella fiscale, appunto, su cui a quanto pare ognuno procederà per la sua strada, e le riforme strutturali, di cui tutte parlano, ma che vanno a rilento, compreso in quei Paesi che sono più insistenti nel sollecitarle agli altri, come la Germania.

Da quando ha riacquistato prominenza dopo l’estromissione della Russia, il G-7 ha acquistato nuovamente un carattere più informale, tanto che non produrrà oggi un comunicato finale. Il che risulta più semplice quando le posizioni da riconciliare sono scarsamente allineate. Lo scenario di fondo, a dire il vero, trova un ampio consenso: quello di un’economia globale che non va troppo bene, ma, per ora, non va troppo male e in cui i mercati finanziari sono meno turbolenti di qualche mese fa, ma sempre in agguato.

Le cause scatenanti di nuovi scossoni potrebbero essere tante. Il G-7 si è soffermato in particolare su due. La prima, più ovvia, è la possibilità di un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea dopo il referendum del 23 giugno. Gli effetti legali immediati sono discutibili, quelli di mercato sarebbero con ogni probabilità istantanei. Secondo diverse fonti del G-7, Osborne avrebbe rivolto ieri una sorta di appello ai suoi colleghi per una presa di posizione comune a favore della permanenza di Londra nell’Ue. Gli sarebbe stato opposto un cortese rifiuto, anche se individualmente tutti gli altri si sono già pronunciati in questo senso.

Il secondo tema caldo è la Grecia. Gli Stati Uniti, che su questo punto hanno peraltro scarso potere negoziale, hanno ribadito per bocca di Lew l’importanza che si trovi un accordo sull’alleggerimento del debito di Atene. Gli europei e il Fondo monetario sono andati finora in direzioni, se non opposte, certamente non convergenti. Ieri, sia il presidente dell’Eurogruppo, il ministro olandese Jeroen Dijsselbloem, e il commissario europeo, Pierre Moscovici, hanno ostentato ottimismo che un accordo, almeno sulla revisione del programma economico della Grecia, possa essere trovato già alla riunione di martedì prossimo a Bruxelles. Quanto alla ristrutturazione del debito, la partita, nella quale è un giocatore di primo piano l’Fmi, resta aperta ed è tutt’altro che facile.

© Riproduzione riservata