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Dossier Il sogno infranto: la casa comune è diventata un paradiso perduto

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Dossier | N. 40 articoliI rapporti della Fondazione Hume

Il sogno infranto: la casa comune è diventata un paradiso perduto

Sembra una maledizione senza scampo né fine: ad ogni sondaggio, referendum o appuntamento elettorale, l’euroscetticismo sale, l’eurofilia scende e sempre più assomiglia al sentimento di una specie in via di estinzione.
L’Unione delle poli-crisi ormai diverge su quasi tutto, Grecia, euro, Bce, patto di stabilità, rifugiati, politiche di sicurezza poco importa. E questa sembra l’unica rara e inquietante convergenza che riesce a mettere insieme e tristemente accomuna Nord e Sud, Est e Ovest.

Dovunque si giochino, le partite elettorali si ostinano a dare lo stesso risultato: scacco matto alla democrazia tradizionale, all’Europa e ai suoi valori fondanti, in poche parole agli assetti politico-istituzionali del dopoguerra.
Oggi in Austria quasi certamente sarà l’estrema destra del Fpo, nazionalista, xenofoba e anti-europea, a conquistare nell’euro-abulia generale la presidenza della Repubblica: nel 2000, quando l’Fpo di Jorg Haider vinse per la prima volta le elezioni a Vienna, creò scandalo e indignazione tanto da indurre l’Europa a imporre sanzioni politiche contro il paese.

Il 26 giugno in Spagna il partido Popular del premier Mariano Rajoi potrebbe essere rovesciato da una coalizione formata da estrema sinistra e Podemos: analogo mix di pulsioni anti-establishment e anti-Ue ma anche anti-rigore economico.
Tre giorni prima la partita di Brexit in Gran Bretagna potrebbe concludersi con il divorzio dall’Europa. O forse no. Comunque finisca si porterà dietro un carico di incertezze e destabilizzazione politica nel resto di questa Europa scossa da nazionalismi, protezionismi e ribellismi diffusi, dalla tentazione popolare quasi irresistibile del ripudio tout court.
Secondo un sondaggio condotto alcune settimane fa in 8 paesi tra 6mila persone, il 33% degli intervistati auspica la propria Brexit. Con il 57% la percentuale degli italiani è insuperata, proprio come lo era la loro cieca eurofilia 15 anni fa. I francesi seguono con il 55%. Prevedere che l’Europa dei no dopo il 23 giugno dilagherà a macchia d’olio non è un’ esercizio acrobatico ma una piana certezza.

Perché l’Unione è diventata un paradiso perduto, i cittadini in rivolta contro chi ancora ne difende ragioni e innegabili benefici che, malgrado tutto, ancora distribuisce? Perché una casa aperta di libertà e democrazia continua a perdere consensi, si rinnega inseguendo l’autodistruzione, i pifferai di scorciatoie estremiste e nazional-protezionistiche, incompatibili con un mondo interdipendente e complesso?
L’europeizzazione sempre più spinta e invasiva, combinata con la parallela globalizzazione di politica, finanza, economia e sicurezza, ha prodotto un enorme cortocircuito che nessuno ha saputo o voluto governare in Europa. Dove da anni i redditi reali scendono insieme a ogni tipo di sicurezza: nelle strade, nel welfare, nel futuro. Dove i disoccupati crescono e i risparmi sono meno tutelati. È così che l’Unione si è avvitata, diventando a poco a poco una sorta di porto delle nebbie con garanzie decrescenti e frustrazioni costanti.

Caduta del Muro di Berlino, fine dell’ordine di Yalta, riunificazione tedesca, creazione del mercato e poi della moneta unica. Maxi-allargamento a Est, riunificazione europea con il salto spericolato da 15 a 25 membri. Globalizzazione dell’economia, ingresso della Cina nel Wto, inizio della sua scalata ai vertici mondiali mentre falliva il Doha Round, il negoziato multilaterale per rafforzare la liberalizzazione del commercio internazionale. Seguito dalla graduale conversione a protezionismo e unilateralismo.
Su questa tela di vecchi equilibri strappati e mai ricomposti in un nuovo modello di governance europea e mondiale, è piombata la grande crisi finanziaria partita nel 2008 dagli Stati Uniti e migrata in Europa per trasformarsi in debitoria, complice il caso Grecia. Presto l’eccesso di rigore alla tedesca ha raggelato lo sviluppo oscurando l’orizzonte delle buone aspettative. L’Europa ha finito per assumere una grinta arcigna, punitiva, indifferente a problemi e paure crescenti della gente, più povera, della società più diseguale. I Governi, tutti, hanno fatto gli struzzi e dell’Ue il capro espiatorio della loro inadeguatezza. Peggio, non si è mai tentata una narrativa comune della crisi. Al contrario, a Nord impazza la storia del Sud fannullone, parassitario, pieno di debiti a rischio insolvenza. A Sud quella degli spietati vampiri che speculano sulle disgrazie dei più deboli massacrandoli di rigore eccessivo e spietato.

Come se non fosse bastato l’abisso di sfiducia reciproca che si è così creato, a completare l’opera della grande incomunicabilità intra-europea a livello di Governi e di cittadini è arrivata la marea incontrollata dei rifugiati: la stagione dei muri, dell’arroccamento dentro le frontiere, della minaccia all’ordine di Schengen. A fare il resto ha poi pensato il matrimonio tra democrazia e comunicazione istantanea di massa, tra sondaggi quotidiani, social media d’assalto, leaks a ripetizione: la spallata finale alle strutture di Governo nazionali ed europee, che ha paralizzato le visioni comuni e, soprattutto, la capacità di attuarle.

Delusi ed esasperati dall’inazione dei grandi decisori davanti alle difficoltà crescenti del loro viver quotidiano, gli elettori insorgono, tentano le scorciatoie populiste, nella falsa illusione di ottenere le ricette finora mancate. E così trasformano le loro paure in quelle dei Governi in carica. O cambia strada, e presto, politica oppure l’Europa non potrà reggere a lungo l’urto della sue furenti democrazie.

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