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Nel Pd scoppia il caso legge elettorale

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Nel Pd scoppia il caso legge elettorale

  • –Emilia Patta

ROMA

All’ombra delle elezioni comunali del vicinissimo 5 giugno, di cui nessuno in realtà parla, si sta consumando in questi giorni nel Pd uno scontro su riforme e Italicum che sembra anticipare il clima congressuale. Tanto che il predecessore di Matteo Renzi a Palazzo Chigi Enrico Letta, in queste ore in Corea del Sud per il “The Jeju Forum for Peace and Prosperity 2016”, mette le mani avanti rispetto alla “vox populi” che lo vorrebbe unico candidato anti-Renzi alle primarie del 2017 in grado di compattare il fronte composito della minoranza del partito (qualcuno lo indica addirittura in ticket con Roberto Speranza, che la sua candidatura l’ha già annunciata). «Faccio un lavoro che mi porta a un forte impegno internazionale e che mi piace: questo non mi esime dal prendere posizione sulle vicende italiane - precisa Letta riferendosi al suo ruolo di capo della Scuola di affari internazionali dell’Istituto di studi politici di Parigi -. Detto questo, non voglio farmi trascinare nelle vicende congressuali». Quanto al referendum sulle riforme, d’altra parte, Letta ha già detto che voterà “sì” pur deprecando il «clima da corrida» venutosi a creare.

Da parte sua Matteo Renzi, impegnato in Giappone per il G-7, si appella alle opposizioni (sottintendendo anche, e soprattutto, l’opposizione interna al Pd) affinché valorizzino «quello che c’è di buono»: «Penso che c’è un tempo per gli scontri e un tempo per aiutare il Paese a crescere». Quanto alle accuse di rischio autoritarismo che la riforma del Senato e del Titolo V su cui si vota ad ottobre comporterebbe, Renzi precisa che «la riforma costituzionale non dà alcun potere in più al presidente del Consiglio e al governo, men che meno di sciogliere le Camere, potere che spetta e spetterà al Capo dello Stato».

A rispondere a Pier Luigi Bersani, che ha posto un po’ provocatoriamente come condizione per il suo “sì” al referendum di ottobre quella di sostituire l’Italicum con una legge che preveda il doppio turno di collegio alla francese, ci pensano da Roma i vicesegretari del Pd Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani. «Non mi pare ci siano le condizioni per aprire una discussione su questo». «La legge elettorale è già stata fatta e approvata - aggiunge Serracchiani -. Adesso stiamo parlando di un referendum costituzionale...». Non ci sono le condizioni, sottolinea Guerini, anche perché l’asticella posta da Bersani è troppo alta: il doppio turno di collegio è posizione storica del Pd ma è sistema inviso a tutti gli altri partiti, quindi impossibile da approvare in questo Parlamento. Intanto Gianni Cuperlo, che in serata è stato ricevuto dal presidente della Repubblcia Sergio Mattarella, ribadisce l’invito a non usare il referendum come «una sciabola per dividere il Paese». E Bersani torna sull’argomento ribadendo tre richieste per «evitare una drammatica spaccatura»: abbandonare i «toni aggressivi e divisivi», presentare fin d’ora una legge elettorale per l’elezione diretta dei futuri senatori e dare appunto la disponibilità a rivedere l’Italicum. Un dialogo tra sordi, insomma, dietro il quale i renziani più “falchi” vedono la volontà della minoranza di sabotare il referendum per indebolire Renzi in vista del congresso.

Intanto dal fronte caldo dei partigiani arrivano per una volta buone notizie per il premier: la Confederazione delle associazioni combattentistiche, alla quale l’Anpi aderisce, chiede che sia «lasciata alla libera e serena coscienza di ciascuno la scelta di cosa votare» .

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