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Se il G-7 vuole evitare la guerra delle valute

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L'Editoriale|IL SUMMIT IN GIAPPONE

Se il G-7 vuole evitare la guerra delle valute

I leader del G-7 hanno reiterato la loro preoccupazione per la crescita mondiale anemica, determinata da un appiattimento del tasso di crescita potenziale delle economie avanzate e un rallentamento (Cina) se non addirittura una contrazione (Brasile e Russia) delle economie emergenti sistemiche.
Come al G-20 finanziario di Shanghai in febbraio e in occasione degli incontri ministeriali dell’Fmi a Washington il mese scorso, neanche i leader del G-7 riuniti in Giappone sono riusciti a superare il solco che separa coloro che auspicano politiche fiscali più accomodanti, come il primo ministro nipponico Abe, presidente di turno del Gruppo, e la Germania, contraria in linea di principio all’utilizzo della leva fiscale, in qualsiasi forma e a qualsiasi condizione.

Il risultato è stato apparentemente il solito compromesso, già presente in vari comunicati del G-20, che invita i membri del Gruppo a utilizzare tutte le leve di politica economica, secondo le circostanze proprie di ciascuno e senza comprometterne la sostenibilità fiscale. Del resto, il quadro macroeconomico del Paese ospitante, da decenni intrappolato in una morsa di crescita fiacca, deflazione, disavanzi di bilancio e debito pubblico rampante che quest’anno sfiorerà il 250% del Pil non ha aiutato.
In realtà, il G-7 è andato oltre cercando di restringere il perimetro del prossimo summit del G-20 a presidenza cinese previsto per i primi di settembre, imponendo una serie di qualificazioni sull’importanza degli investimenti infrastrutturali, che la presidenza cinese e l’Fmi hanno, invece, proposto come via di uscita per superare la dicotomia tra quanti auspicano un sostegno alla domanda aggregata e quanti privilegiano interventi dal lato dell’offerta tramite riforme strutturali.

In un certo senso, la Germania ha ottenuto di delimitare il perimetro della sua prossima presidenza del G20 che avrà inizio dal prossimo autunno.

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