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Trump al traguardo dei delegati

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USA

Trump al traguardo dei delegati

  • –Marco Valsania

Milleduecentotrentotto. Donald Trump ha superato ieri mattina la fatidica soglia di 1.237 per la nomination repubblicana, la certezza matematica che alla Convention di Cleveland in Ohio a luglio si presenterà per una incoronazione, con il numero sufficiente di delegati che gli permetterà di evitare qualunque imbarazzante battaglia e polemica interna.

Il conto è stato ufficializzato dalla Associated Press, che ha visto Trump centrare l’obiettivo grazie a un manipolo di delegati cosiddetti «liberi», cioè eletti senza essere promessi sulla carta ad alcun candidato, e che hanno deciso di schierarsi con il costruttore e personalità televisiva newyorchese. «La leadership è leadership - ha detto Steve House, presidente del partito repubblicano del Colorado che è stato tra i protagonisti dell’ultima svolta a favore di Trump - .Se si circonda di politici di talento farà bene».

Il traguardo ha consacrato e anticipato una rivoluzione che era parsa certa nel partito repubblicano, conquistato da un controverso outsider sull’onda dell’ansia e della rabbia dell’elettorato per i politici tradizionali: Trump, ormai privo di avversari interni dopo aver sconfitto nelle primarie e costretto al ritiro 16 rivali, appariva destinato a raggiungere il quorum al più tardi in occasione del voto della California e del New Jersey il 7 giugno, gli appuntamenti finali della lunga stagione della selezione dei portabandiera dei partiti alle urne di novembre per la Casa Bianca.

Con il risultato di ieri Trump non ha più neppure bisogno delle ultime primarie, né tantomeno di trattare per il sostegno dei suoi principali rivali, Ted Cruz, John Kasich e Marco Rubio e i loro delegati. Il costruttore - i cui slogan caratterizzati da toni populisti e spesso a pesante sfondo razziale vanno dal “Far grande l’America” al muro anti-messicani - ha umiliato anche chi tra gli influenti esponenti e finanziatori conservatori ha cercato di sollevare ostacoli dell’ultima ora dentro il partito, il movimento “Never Trump”, Mai Trump: sta lavorando con successo all’unificazione della nomenclatura repubblicana, in passato scettica e spaccata davanti al suo ingresso nell’arena, proprio preparare una Convention tutta sotto il suo segno.

La vittoria di Trump - ottenuta spendendo oltretutto solo 57 milioni di dollari nella campagna, anche se ora aumenterà la raccolta fondi - contrasta con le difficoltà che scuotono invece i democratici. Hillary Clinton, la grande favorita, potrebbe a sua volta conquistare matematicamente la nomination al più tardi con le primarie della California e del New Jersey. Ma il suo rivale interno Bernie Sanders non ha ceduto le armi, spera ancora in un successo-shock proprio in California che riapra i giochi e promette una campagna progressista fino alla Convention di Philadelphia.

Clinton, anzichè consolidare la presa politica sull’elettorato, è parsa piuttosto perderla di recente: nei sondaggi nazionali, per quanto prematuri, è oggi in svantaggio nello scontro diretto con Trump, mentre Sanders, a sua volta un outsider con la sua etichetta di socialista e le proposte di sanità e college gratuiti, ne esce vittorioso.

Nei giorni scorsi un duro rapporto dell’ispettore generale del Dipartimento di Stato sul suo uso di un server privato per le email diplomatiche ha concluso che l’ex Ministro degli Esteri ha violato le politiche di sicurezza del governo, esponendo segreti di stato al rischio di hacking, una minaccia verificatasi nel 2011.

L’Fbi ha ancora in corso un’inchiesta con possibili risvolti penali sullo scandalo che potrebbe concludersi a ridosso della Convention con potenziali effetti dirompenti. Anche senza nuove accuse, la polemica potrebbe rafforzare la sfiducia di parte dell'opinione pubblica nei confronti di Clinton. «È corrotta come pochi», ha tuonato Trump senza perdere l’occasione di attaccarla.

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