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Asta BoT a 6 mesi, rendimenti a nuovi minimi

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Asta BoT a 6 mesi, rendimenti a nuovi minimi

  • –Vito Lops

Di record in record l’era dei tassi negativi sta spingendo i titoli di Stato su livelli via via inesplorati. Ieri è toccato ai BoT a 6 mesi toccare un nuovo minimo storico. Sono stati venduti in asta al tasso pari a -0,262%, nove punti base in meno rispetto alla precedente analoga emissione. Non era mai accaduto prima. Pur viaggiando su livelli sottozero (quindi chi li ha acquistati ha accettato tecnicamente di pagare un interesse al debitore, cioè allo Stato italiano in questo caso, anziché ricevere in cambio un guadagno) la domanda è stata molto alta: 1,63 volte l’offerta. Rispetto ai 6 miliardi collocati, infatti, le richieste hanno sfiorato i 10 miliardi di euro.

Quella dei tassi negativi non è una novità per l’Italia (dato che la curva dei rendimenti viaggia sottozero fino a due anni da diverso tempo) e non è una novità per il mondo intero. Secondo l’agenzia di rating Fitch il controvalore di titoli di Stato globali che “offrono” cedole negative si aggira attorno ai 10mila miliardi di dollari, per un tasso medio pari a -0,24%. Il che vuol dire, in soldoni, che in questo momento c’è una quantità di investitori che pur di possedere titoli di alcuni Paesi e su certe scadenze è disposta a pagare una maxi-cedola di 24 miliardi di dollari (lo 0,24% su 10mila miliardi).

Siamo all’ossimoro della finanza? Per certi versi sì, perché uno scenario del genere non è contemplato neppure nei testi di economia. Come mai c’è qualcuno nel mondo disposto a comprare titoli che, anziché pagare un tasso di interesse, chiedono invece al possessore di pagare una tassa?

La risposta è più semplice di quanto possa sembrare. In realtà questo mondo di tassi negativi è lo specchio di un mix tra Paesi in deflazione e politiche monetarie molto aggressive delle rispettive banche centrali per cercare di contrastare la spirale di flessione dei prezzi.

Sciogliamo subito un dubbio: i tassi negativi non sono appannaggio dei piccoli risparmiatori. I bond a tassi negativi, infatti, vengono acquistati dagli investitori istituzionali, in particolare dalle banche. Queste, a fine serata, devono parcheggiare la liquidità in eccesso (rispetto alla riserva obbligatoria che per le banche dell’Eurozona è pari all’1% dei depositi) nel conto obbligatorio che devono detenere presso la propria banca centrale.

Normalmente per la liquidità parcheggiata nel conto presso la banca centrale ricevono in cambio un tasso di interesse, corrispondente al “tasso sui depositi” (deposit facility rate). Da un po’ di tempo a questa parte accade però il contrario: sono le banche a pagare la banca centrale (e non viceversa) per parcheggiarvi la liquidità in eccesso. Questo da quando alcune banche centrali (Eurozona, Svizzera, Danimarca, Svezia) hanno portato sottozero il tasso sui depositi.

Quindi molte banche preferiscono acquistare bond governativi a tassi negativi piuttosto che pagare la tassa alla rispettiva banca centrale sulla liquidità da parcheggiare a fine serata. A patto che il tasso del bond non sia ancor più negativo del tasso sui depositi.

Nell’Eurozona questo tasso è a -0,4%, quindi in teoria alle banche conviene acquistare bond governativi che abbiano un rendimento fino a -0,39 per cento. Ecco perché c’è una domanda sui tassi negativi, anche se potrebbe sembrare un controsenso.

Cosa può fare un piccolo risparmiatore che voglia puntare su tassi nominali positivi senza esporsi su lunghe durate? (ad esempio il BTp a 10 anni paga l’1,5% annuo, è quindi positivo, ma si tratta di un investimento nel lungo periodo). Nel mondo (come evidenzia la tabella) vi sono dei titoli di Stato a breve scadenza (6-12 mesi) che offrono rendimenti positivi.

In questo momento la Grecia vince questa classifica: i bond di Atene semestrali pagano un tasso annuo del 2,55 per cento. Si tratta di un investimento rischioso considerato che la Grecia ha un rating spazzatura (“B-” nel migliore dei giudizi, quello di S&Poor’s). Seguono i titoli della Nuova Zelanda (2,38%) a fronte di un rating molto più alto (tra doppia e tripla A, a seconda delle agenzie). E poi Australia (1,66% a 12 mesi), Usa (0,65%), Canada (0,59%), Norvegia (0,52%)e Inghilterra (0,41%).

A parte la Grecia, gli altri Paesi menzionati che permettono di spuntare tassi positivi utilizzano valute differenti dall’euro. Espongono quindi l’investitore italiano (e dell’area euro) al rischio cambio. Ne consegue che se nel corso del periodo in cui si è investito l’euro dovesse apprezzarsi sulla valuta straniera acquistata, al plusvalore offerto dall’obbligazione bisognerebbe sottrarre la rivalutazione dell’euro. Correndo il rischio di incappare in un rendimento netto negativo. La regola da seguire in questi casi è la seguente: quando l’euro perde terreno e scende è il momento giusto per comprare gli asset espressi in valute estere.

Ipotizzando un investimento in dollari, in questo momento il cambio euro/dollaro viaggia attorno a 1,115. Chi compra titoli statunitensi ci perde con l’effetto cambio se l’euro si rafforza (quindi va oltre 1,12). Mentre ci guadagna nel caso il cambio scenda sotto 1,11.

«Un’altra valida strategia di diversificazione - spiega Angelo Drusiani, esperto di bond di Banca Albertini Syz - potrebbe essere quella di acquistare titoli inglesi (pagano lo 0,41% a 12 mesi, ndr) puntando su una rivalutazione del 3-4% della sterlina in caso di permanenza nell’Unione europea e di sconfitta del fronte del Brexit nel referendum del 25 giugno. In quel caso consiglio di vendere il titolo prima della scadenza perché lo scatto iniziale della sterlina potrebbe ridimensionarsi nelle settimane a seguire». Ovviamente, se vincesse il Brexit, il rischio cambio si ritorcerebbe contro l’investitore italiano.

.@vitolops

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