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L’ingiustizia globale bussa alle porte di casa

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L’ANALISI

L’ingiustizia globale bussa alle porte di casa

Se il Mediterraneo continuerà a essere una tomba liquida dei migranti la colpa non sarà soltanto delle guerre e delle disastrose condizioni socio-economiche dei Paesi africani e del Medio Oriente. È una questione politica e di sicurezza che investe tutta l'Europa e l'Occidente, Stati Uniti e Nato compresi. La tragedia ha la misura devastante di un conflitto di portata epocale che rimanda non solo a cifre ma anche a dimensioni umanitarie che non si vedevano dalla seconda guerra mondiale, con una violenza enorme esercitata su esseri umani indifesi. Questa non è soltanto una fuga dalle guerre e dalla povertà: è il conto che ci presenta il fallimento della redistribuzione delle ricchezze a livello globale, è l'ingiustizia mondiale che bussa alle porte di casa.

“Questa non è solo una fuga da guerre e povertà: è il conto che ci presenta il fallimento della redistribuzione delle ricchezze, è l'ingiustizia globale che bussa alle porte di casa”

 

Non basta la missione Eunavfor, non sono sufficienti le dichiarazioni del presidente della commissione europea Juncker sugli stati che non collaborano alla redistribuzione dei profughi. «Non riesco a credere che un continente come l'Europa di 500 milioni di abitanti non sia in grado di accogliere due milioni di profughi», ha detto qualche giorno fa. Eppure è proprio così che stanno le cose, anzi peggio, perché i numeri potranno essere a breve molto più alti. L'Austria, sulla scorta delle sue previsioni, ha minacciato di chiudere il Brennero perché l'Italia potrebbe essere travolta da un'ondata umana incontrollabile.

Infodata: nel Mediterraneo sono arrivati 194mila profughi, in calo rispetto al 2015

Cosa vogliamo fare? L'anno scorso in Italia sbarcarono 150mila migranti e profughi, i luoghi di accoglienza sono sottodimensionati e anche lo stesso quadro legislativo non è adeguato, soprattutto quando sono i minori ad arrivare, sempre di più: un aumento del 170% rispetto all'anno scorso. Ci dobbiamo mettere a regime per affrontare un'emergenza di lunga durata ma anche l'Unione europea non può continuare a voltare la testa dall'altra parte. Questa non è un'emergenza ma una crisi di lungo periodo e non illudiamoci che si possa portare lo sviluppo sullo Sponda Sud per limitare le migrazioni: è un'idea vecchia e l'Africa conta ancora per meno del 2% del commercio mondiale, per l'uno per cento della produzione industriale globale, con una crescita demografica irrefrenabile che divora anche i buoni tassi di aumento del Pil attuali.

Se si sono varate risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu per fare la guerra a destra e manca, formando nel tempo coalizioni di “volonterosi” per abbattere questo o quel regime, si dovrebbe poter costituire anche una “grande alleanza umanitaria”. Serve un summit operativo sulle migrazioni al quale devono partecipare anche la Nato, gli Usa e gli alleati dell'Occidente, Onu inclusa, dove i leader escano con impegni precisi da rispettare subito: chi si rifiuta deve essere multato e colpito da severe sanzioni, non dalle solite procedure che fanno ridere i polli. I Paesi dell'Est sono tra i più riottosi: che smettano di chiedere di spostare la Nato a Oriente per contrastare la Russia e pensino alla vera emergenza che abbiamo di fronte. Sono questi i momenti nei quali bisogna contarsi e capire chi è disponibile o meno.

E non bisogna storcere troppo il naso quando i libici - come ha fatto tre giorni fa a Roma, il vicepremier Ahmad Meitig - si mostrano pronti a rimettere in vigore l'accordo del 2009: si è negoziato con Erdogan, bisogna farlo anche con quel che resta della Libia se si vuole fermare i traffici umani da Sabrata e dalle sue coste. Francesi, egiziani, Emirati, sostengono il generale Khalifa Haftar in concorrenza con il governo di Tripoli che hanno ufficialmente approvato ma che boicottano costantemente: si prendano dunque anche le loro responsabilità per i morti in mare.

Un rilievo geografico che è anche politico: i migranti non muoiono soltanto nel Canale di Sicilia ma anche molto più vicino alle coste libiche. Affermare che le tragedie avvengono sempre nel Canale di Sicilia appare strumentale a circoscrivere il dramma e a dare una connotazione locale a questo fenomeno: l'Europa e gli Stati Uniti, con la loro potenza militare ed economica, devono capire che questa non è la nostra vasca da bagno dove affogano essere umani.

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