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Ma la ripresa Usa resta più robusta di quella europea

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Ma la ripresa Usa resta più robusta di quella europea

  • –Riccardo Sorrentino

Il dollaro cala, il rialzo si allontana. Gli investitori non hanno avuto dubbi, ieri, dopo la pubblicazione dei dati sul mercato del lavoro e quelli - in qualche modo collegati - degli indici di attività Ism: la stretta di inizio estate, che sembrava quasi certa, potrebbe essere rinviata. A settembre, forse anche oltre: il mercato del lavoro lancia segnali preoccupanti e si torna persino a parlare di un rischio recessione.

È chiaro che il lungo sciopero della Verizon - che si è concluso mercoledì dopo l’intervento del dipartimento del Lavoro - non spiega tutto; neanche tenendo conto del cattivo tempo, che ha fermato il settore delle costruzioni. I numeri di ieri segnalano qualcosa di nuovo. Forse sono i due indici di attività Ism a fornire l’informazione chiave: le assunzioni si sono fermate, anzi l’occupazione è leggerissimamente calata nel settore dei servizi e continua a contrarsi nel manifatturiero. L’emergere, nei dati del dipartimento del lavoro, del calo del tasso di partecipazione - a cui la Federal reserve guarda molto - è quantomeno coerente con queste indicazioni. Così come il forte aumento (468mila persone, a quota 6,4 milioni) dei lavoratori che hanno un contratto a tempo parziale ma preferirebbero un tempo pieno, un’altra misura presa in attenta considerazione dalla Fed.

Nulla però impedisce davvero di continuare a pensare che la Federal reserve alzi i tassi a luglio. I numeri di giugno potrebbero fare dei dati di ieri una temporanea eccezione. L’indice sulle condizioni del mercato del lavoro della Fed di Kansas City è fermo ancora ad aprile - sarà aggiornato giovedì - ma è in linea con la media di lungo periodo: un eventuale peggioramento in seguito ai dati di ieri non dovrebbe allontanarlo molto da quel riferimento.

Sul più ampio fronte della ripresa, l’indice GDPNow della Fed di Atlanta, aggiornato con i dati di ieri, non è variato e punta a un “buon” 2,5% per la crescita del Pil del secondo trimestre di quest’anno: è meno del 2,9% indicato solo martedì, ma segnala che la ripresa, sia pur moderata, c’è ancora. L’analogo Nowcast della Fed di New York indicava un +2,4% in crescita, ieri, rispetto al 2,2% del 27 maggio (e ora punta al 2,2%nel terzo trimestre): il buon andamento delle esportazioni ha più che compensato l’impatto negativo del basso numero di assunzioni di maggio. È vero però che su entrambi gli indici di nowcasting ha avuto un effetto positivo quel calo dell’indice di disoccupazione al 4,7% che è decisamente fuorviante, frutto com’è del calo del tasso di partecipazione e non nel numero dei disoccupati.

Anche sul fronte dei prezzi la situazione non impedisce un rialzo a luglio. L’inflazione core calcolata sui consumi personali (l’indice Pce, preferito dalla banca centrale di Washington), è all’1,6%, un ritmo non così basso da suscitare preoccupazioni. La crescita dei salari orari continua infine a un ritmo costante (+2,5%annuo a maggio), e potrebbe presto - è questa la speranza dei banchieri centrali - spingere ulteriormente in alto il costo della vita. L’indice della Fed di St. Louis sulle pressioni inflazionistiche indica ora un 33% di probabilità che l’inflazione nei prossimi dodici mesi sia compresa tra l’1,5% e il 2,5%, in forte crescita dal 13% di dicembre 2015, mentre il rischio che oscilli tra lo zero e l’1,5% è crollato dal 74% al 53%: un livello ancora elevato, che consiglia prudenza, ma che segnala una continua evoluzione del quadro economico americano.

La reazione dei mercati si spiega allora soprattutto con il fatto che gli investitori avevano puntato su un rialzo dei tassi per questo mese, nella riunione del bord prevista per mercoledì 15. In realtà i governatori americani sembrano anch’essi un po’ preoccupati per l’esito del referendum su Brexit e preferiranno aspettare. Del voto britannico come elemento di rischio hanno parlato sia, la scorsa settimana, Jerome H. Powell sia David Tarullo, che nell’intervista di giovedì alla Bloomberg ha esplicitamente detto che se ne discuterà nella prossima riunione, sia ieri Lael Brainard. Un rialzo questo mese sembra dunque da escludere indipendentemente dall’interpretazione che si preferisce dare dei dati di ieri.

Resta la possibilità di luglio. Per escluderla del tutto occorrerebbe disegnare uno scenario piuttosto fosco delle prospettive degli Usa. Anche se Michael Gapen di Barclays, che in realtà parla apertamente di «aumentati rischi di recessione» ritiene che il board della Fed «vorrà vedere due mesi consecutivi di rimbalzo delle assunzioni prima di alzare di nuovo i tassi».

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