Mondo

Dossier Tra i pescatori fantasma della grigia Grimsby

  • Abbonati
  • Accedi
Dossier | N. (none) articoliReferendum su Brexit

Tra i pescatori fantasma della grigia Grimsby

John Stockton, consigliere comunale di Ukip a Grimsby
John Stockton, consigliere comunale di Ukip a Grimsby

Across the great divide/ I thought I heard the trawler boats/ Returning on the tide…oh, oh Grimsby, thousand delights. No, Grimsby non si meritava anche l’inciampo di un Elton John a caccia di delizie nella “città tetra” - e non solo per l’etimologia anglo-scandinava - sull’estuario dell’Humber. Brutta canzone quella del rocker britannico, un altro dito nell’occhio grigio di Grimsby. Uno dei tanti da quando la storia ha girato le spalle «al più grande porto di pesca al mondo» come spiega, umida di nostalgia, la generosa pubblicistica locale.

Erano gli anni Cinquanta e i trawlers, i pescherecci a strascico, annerivano l’orizzonte diretti verso le islandesi distant waters o le più agevoli mid waters del mare del Nord. «Haddock, noi cercavamo haddock, il meglio per il nostro fish and chips, molto più saporito del merluzzo tradizionale. Sa che posso riconoscere se è stato pescato in Islanda, alle Fær Øer o qui fuori, nelle nostre acque?». Si compiace di un gusto tanto raffinato John Stockton, settantenne consigliere comunale dell’Ukip, il partito eurofobo che Nigel Farage ha esportato anche quassù, sulle coste del Lincolnshire, dove la forza “indipendentista” minaccia gli antichi primati del Labour, scelta naturale per gente di mare scolpita nell’aria fredda di giugno.

«Vede, non vogliono che lei fotografi Grimsby fishing dock perché è come immortalare una città fantasma», dice John, negoziando il mio passaggio oltre la sbarra del vecchio porto. S’apre alla vista un rosario di pezzi rari da archeologia industriale. Pontili rossi di ruggine usi a caricare il ghiaccio sui trawlers, porte scardinate di affumicatoi zeppi di gatti ancora scossi da odori antichi, laboratori sbarrati. «Lì si sfilettava il pesce, ma ora non c’è più», insiste John. L’occhio fesso del merluzzo assiste a questo sfacelo attraverso l’inferriata che separa il vecchio fishing dock da quello commerciale dove arriva, ogni giorno, preso in acque lontane da pescherecci con altre bandiere. «C’è ancora molto pesce – ha ammesso di recente Martin Boyers, Ceo del Grimsby fish market, piazza che mette all’asta 15mila tonnellate di merce l’anno – ma non lo pescano i nostri uomini». Tanto basta per rimpiangere l’arcadia di un’autarchia cancellata dalla storia molto più che dall’Europa. Cresce la reazione all’Unione e cresce in nome della pesca che non c’è più. Fra i fishermen britannici si registrano punte estreme di antieuropeismo, Brexit è slogan popolare in Devon e Cornovaglia, in porti persi nei golfi della Scozia, fino a questi pontili. Si contestano le quote in una generalizzazione delle colpe che non vede le responsabilità. Open Democracy ha di recente elaborato i vantaggi garantiti alla pesca britannica dal sistema dell’Unione, dinamiche complesse che si risolvono, secondo Griffin Carpenter autore del report, in rotondi aumenti dell’utile di un’industria in mutazione (più 35% nel 2014).

»La verità – dice Kevin Smith 62 anni, una vita spesa, da cinque decenni o quasi, sui trawlers con turni di lavoro di 18 ore al giorno per tre mesi di fila – è che siamo come i minatori del Galles. Chiusero i pozzi per importare il carbone più economico...Lo so bene che non dipende solo dall’Unione europea, che la mazzata a Grimsby l’hanno data prima di tutto gli accordi con l’Islanda negli anni Ottanta quando ci chiusero l’accesso alle acque distanti, ma, mi creda, le regole Ue hanno fatto tanti danni. Un esempio? Noi peschiamo con la trama ampia delle reti per prendere pesci di grandi dimensioni, ideali per il fish and chips e questo consentiva ai più piccoli di sopravvivere. Poi sono arrivate le regole europee hanno imposto reti strette, le hanno cambiate di nuovo e un’altra volta ancora. E se non ci adeguavamo subito dovevamo stare a terra per giorni. Così è stata distrutta un’industria e non tornerà mai più. Si è perduto un mestiere, la capacità di tramandarlo alle generazioni future. Certo io ci campo ancora, ma ormai è quasi uno sport»

L’intesa anglo-europea sulla pesca, in realtà, funziona nei numeri globali, avendo contribuito ad accelerare lo sviluppo dell’industria ittica sul lato della trasformazione e della commercializzazione. Un’obiezione che innesca una secca replica dal territorio: le comunità locali pagano il prezzo del mutamento. Inutile dire che la ripartizione nazionale delle quote la decide Londra, non Bruxelles, ma nella disfida di Brexit i “dettagli”, o presunti tali, appaiono irrilevanti. È alla somma finale che si guarda ed essa racconta di pescherecci arrugginiti e affumicatoi chiusi, ad apparente conferma che, aprendosi alle logiche dell’integrazione, il Regno di Elisabetta ha avuto brutte sorprese. Davvero i pescatori di Grimsby sono paragonabili ai minatori del Galles degli anni Ottanta, generazione bruciata prima che l’industria leggera giapponese desse lavoro alle mogli e ai figli di chi non poteva essre riconvertito dall’estrazione del carbone alla lavorazione del silicio? Non esattamente, ma qualche assonanza c’è.

È su questo malcontento che si consuma la transumanza politica. Kevin votava Labour, ora dice «solo l’Ukip difende i nostri interessi». I voti alle politiche lo confermano: nel 2015 l’United Kingdom Independence Party ha raccolto il 25% dei voti locali, nel 2010 s’era fermato sotto il 7 per cento. Qui Brexit promette di fare sfracelli. Per le strade non si vede un solo simbolo della campagna Remain mentre i militanti vicini al partito di Nigel Farage non cessano di far sentire la propria voce. Sulla pesca, certo, ma non solo. «Polacchi e lituani – sussurra ora John – stanno occupando questa città. E non solo loro. Vede quel barbiere mediorientale? Dicono che nasconda un giro di prostituzione. E quel pizzicagnolo laggiù ? È un est europeo, gli hanno trovato sigarette di contrabbando». La cronaca conferma, almeno in parte, la sua denuncia, ma la sensazione di una strenua resistenza al nuovo resta.

L’avevamo già avvertita, a queste latitudini e sulla nostra pelle.«British jobs for british workers!», fu lo slogan che nel 2009 minacciò di mettere alla porta lavoratori italiani alla raffineria della Total. Accadde proprio qui, sulle banchine dell’Humber, alle porte di Grimsby dove Elton John sognava «thousand delights», mille delizie. Mai viste.

© Riproduzione riservata