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Euro, i sette Paesi in coda non sono pronti (e neppure molto…

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La «pagella» della Bce

Euro, i sette Paesi in coda non sono pronti (e neppure molto interessati)

FRANCOFORTE. La Gran Bretagna si prepara al voto che potrebbe farla uscire dall’Unione europea, altri sette Paesi della Ue che potrebbero entrare nell'unione monetaria mostrano sempre meno interesse all’ingresso nell’euro. E in ogni caso la “pagella” appena emessa dalla Banca centrale europea dice che non dispongono dei requisiti di convergenza decretati dai Trattati.
I sondaggi dell’Eurobarometro nei sette Paesi (Bulgaruia, Repubblica Ceca, Croazia, Ungheria, Polonia, Romania, Svezia) mostrano che l’entusiasmo per l’entrata nell’unione monetaria si è affievolito con la crisi dell’euro, anche se in Romania, Croazia e Ungheria esiste tuttora una maggioranza a favore. In Svezia, l’ingresso nell’euro è stato di fatto escluso da tempo e anche Repubblica Ceca e Polonia sono decisamente scettiche sulla moneta unica. Altri due Paesi Ue, Gran Bretagna e Danimarca, hanno optato fin dall’inizio per non aderire.

La politica si è adeguata all'opinione pubblica: in Romania, la data obiettivo del 2019 è stata sostituita da un più generico impegno ad aderire, in Bulgaria i preparativi sono in corso dal luglio 2015, ma per ora senza uno sbocco definito.
Voler entrare nell’euro tuttavia non è sufficiente: i Paesi richiedenti devono dimostrare di aver ottenuto i requisiti economici e legali. La lezione della Grecia mostra che anche chi è già dentro l’eurozona sarà cauto nell’ammettere nuovi soci. Ed è qui che interviene la pagella della Bce, che per ora boccia tutti. I tecnici di Francoforte riconoscono che sono stati compiuti «notevoli progressi», ma la convergenza, ricorda il rapporto, deve essere mantenuta su base sostenibile e dev’essere integrata da requisiti di governance che quasi nessuno dei Paesi rispetta. La convergenza legale riguarda l’indipendenza della banca centrale, dove permangono incompatibilità (anzi l’Ungheria ha fatto notevoli passi indietro con crescenti interferenze del Governo), e la proibizione di finanziare i deficit pubblici (e qui solo la Croazia è in regola).
Per quanto riguarda i famosi criteri di Maastricht, sull’inflazione i differenziali si sono ridotti notevolmente. A Cipro (-1,8%, a causa della recessione seguita alla crisi) e in Romania (-1,3% anche per effetto dei tagli dell’Iva) è troppo bassa rispetto ai Paesi della moneta unica. Quanto al deficit pubblico, sei dei sette Paesi (con l’eccezione della Croazia) sono sotto il famigerato 3% del prodotto interno lordo, mentre sul debito solo Croazia e Ungheria sono al di sopra del 60% del Pil: insomma, diversi Paesi fuori dell’Eurozona fanno meglio di molti all’interno dell’area euro. I miglioramenti di bilancio devono però essere assicurati nel lungo termine, osserva il rapporto. Quanto ai tassi d’interesse a lungo termine, tutti i Paesi sono in linea con i requisiti.

Nessuno invece rispetta il criterio di adesione all’Erm2, il meccanismo per limitare la volatilità dei cambi nei confronti dell’euro, che anzi è altissima nel caso di Svezia, Ungheria, Polonia e Romania.
Interessante notare poi che, per quanto riguarda la qualità delle istituzioni e della governance (un criterio che non fa parte di Maastricht), quattro dei sette Paesi, cioè Romania, Ungheria, Bulgaria e Croazia, sono agli ultimi posti della graduatoria Ue, superati solo dal fanalino di coda della Grecia. Subito dopo di loro, l’Italia.

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