
Diciannove ragazze yazide chiuse in gabbia ed arse vive nella pubblica piazza a Mousl in Iraq. È solo l'ultima, in ordine di tempo, della lunga serie di atrocità commesse da jihadisti dello Stato islamico. L’ultima di cui siamo a conoscenza.
Per quanto questo crimine – se confermato - sia particolarmente raccapricciante, l’Isis ha abituato il mondo, e soprattutto i milioni di persone che ancora vivono nei territori che controlla e amministra, alla logica di una violenza che ha quasi dell'inspiegabile, ma che spesso riflette e sorregge un disegno ben preciso: suscitare terrore nei confronti di chi osa solo mettere in discussione i suoi “precetti”, o ancora peggio di chi si rifiuta – come sembra in questo caso – di piegarsi ai suoi ordini, o di chi potrebbe cambiare campo e gettarsi tra le braccia del nemico.
È una violenza che viene applicata in modo sistematico contro tutti; contro i nemici, torturati e giustiziati, contro i civili, in particolar modo le minoranze, contro i prigionieri.
Per ora si conosce ancora poco della vicenda. A quanto riporta un’agenzia stampa curda Ara (Kurdish News Agency), ripresa dai media iraniani, lo scorso 2 giugno 19 giovani donne, chiuse in gabbie di ferro, sono state portate in una piazza di Mosul, la roccaforte irachena dell’Isis, e date alle fiamme davanti a centinaia di persone. La ragione: si erano rifiutate di diventare schiave sessuali dei jihadisti a cui erano state destinate. Sempre se confermata, la carneficina compiuta giovedì scorso riporta sotto ai riflettori dei media un dramma che continua a consumarsi nei territori del sedicente Stato Islamico; la sorte delle migliaia di donne yazide catturate, tenute prigioniere e destinate ai miliziani come schiave sessuali.
Secondo il quotidiano britannico Daily Mail, dal 2014 a oggi sarebbero circa 3mila le donne yazide cadute nelle mani dell’Isis. Molte di loro sono ancora prigioniere. Etnicamente curdi, la popolazione yazida era concentrata soprattutto nelle aree irachene di Ninive e Mosul, e nei dintorni della città siriana di Sinjar, prima conquistata dall’Isis e poi strappata ai jihadisti dalle forze curde lo scorso novembre.
Il dramma degli Yazidi - una comunità religiosa che combina l’Islam con lo Zoroastrismo ed è dunque vista come blasfema dai jihadisti - coincide proprio con l’avanzata dell’Isis avvenuta nell’estate del 2014, quando, in giugno proclamò la nascita dello Stato islamico occupando le terre dove viveva la comunità yazida. Da allora la minoranza è stata perseguitata dai jihadisti. Uno dei peggiori crimini fu denunciato da diversi media il 10 agosto del 2014; 500 yazidi, tra cui molte donne e bambini, sarebbero stati sepolti vivi.
Ma i crimini contro l'umanità commessi dall’Isis non risparmiamo nessuno, oltre alle centinaia di corpi di soldati iracheni, torturati, uccisi e poi sepolti nelle fosse ritrovate in questi giorni vicino alla città di Falluja, è stato denunciato da alcuni media arabi un’operazione su larga scala da parte della leadership dello Stato islamico contro i suoi stessi quadri militari. Diversi di loro sono stati recentemente “sciolti in vasche riempite di acido” , perché ritenuti spie che avrebbero segnalato alla coalizione internazionale anti-Isis le posizioni di esponenti dell’organizzazione, uccisi negli ultimi tempi da raid Usa.
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