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Le speculazioni su Londra affossano le Borse

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Le speculazioni su Londra affossano le Borse

  • –Morya Longo

La data del referendum inglese sull’uscita dall’Unione europea si avvicina, gli studi sui possibili effetti nefasti di Brexit si moltiplicano, i sondaggi aumentano l’incertezza. È questo che, in maniera più o meno pretestuosa, ha messo nel frullatore i mercati finanziari. Soprattutto le Borse: ieri Milano ha perso il 3,62%, Madrid il 3,18%, Parigi il 2,24%. Paradossalmente Londra, la Borsa che dovrebbe essere più interessata da Brexit, ha perso meno: l’1,86%. Le vendite si sono estese a tutto il mondo, incluse Wall Street e Tokyo, mentre gli acquisti si sono concentrati su oro e titoli di Stato. Cioè sui beni rifugio.

Che il rischio «Brexit» sia stata ieri la causa di questo tracollo (almeno in Europa) è fuori di dubbio, se non fosse perché non ci sono stati altri eventi in grado di creare un tale trambusto. Quello che però bisogna capire è se «Brexit» sia un reale timore degli investitori, oppure solo un pretesto per accodarsi in un nuovo trend ribassita. Per rispondere, bisogna analizzare i tre motivi che stanno causando questo crollo. Uno: il timore (“genuino” o speculativo che sia) per Brexit. Due: le coperture degli investitori, che esasperano i movimenti di Borsa. Tre: le storiche fragilità di alcuni Paesi.

Iniziamo dal primo motivo. Sul tema «Brexit» si sta creando un’escalation di tensione, generata dall’approssimarsi del referendum (23 giugno), dai sondaggi possibilisti e dai report che quotidianamente cercano di descrivere gli effetti nefasti dell’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Chi ha tanti soldi sui mercati preferisce dunque coprirsi da eventuali rischi. I pericoli principali, dicono tutti, riguardano la Gran Bretagna e i Paesi del Sud Europa. Se per la prima il motivo è ovvio, per i secondi il ragionamento è più complesso: in caso di «Brexit» gli investitori temono infatti che altri Stati possano cercare di uscire dall’Unione europea (e forse anche dall’euro), riportando in auge il dibattito sulla fine della moneta unica e creando possibili eventuali fughe di capitali dai Paesi più deboli. Morale: gli inglesi votano, ma le vendite vanno a concentrarsi soprattutto nel Sud Europa. Italia inclusa.

Questo ragionamento sta creando una serie di comportamenti a catena degli investitori. La prima reazione tipica in una situazione di tale incertezza consiste nel comprare titoli di Stato “rifugio”. È per questo che i rendimenti dei Bund tedeschi sono sui minimi storici e si avvicinano a zero. In teoria le vendite dovrebbero colpire i bond dei Paesi del Sud, come i nostri BTp. Ma dato che i titoli di Stato europei sono “protetti” dagli acquisti mensili della Bce, le tensioni si sfogano pochissimo su questo mercato. Lo dimostra il fatto che lo spread tra Bund e BTp si è allargato, ma poco. E lo ribadisce il fatto che anche sui Bund i volumi di scambio sono molto bassi. Segno che non è sul mercato dei titoli di Stato che si gioca la vera partita.

Infatti la partita si gioca altrove: sulle Borse. Chi vuole coprirsi dal rischio «Brexit», e dall’eventualità che questo vada a creare un effetto domino finanziario sui Paesi del Sud Europa, va infatti vendere qualcosa che non è “protetto” dalla Bce e che solitamente ricalca il rischio-Paese: cioè le azioni delle banche. È qui che si scaricano quindi le vendite principali causate da «Brexit», in parte per prudenza, in parte per speculazione, in parte per una logica di copertura dei rischi. È per questo che il settore bancario ieri in Europa è stato il più penalizzato, con un ribasso medio del 3,66% e con istituti crollati del 6,37% (UniCredit), del 10,5% (Eurobank) o del 4,14% (Bbva). «Le banche sono il tallone di Achille, dove la Bce non può intervenire», conferma Antonio Cesarano di Mps Capital Services. Motivo più che buono per sfogare qui le tensioni e le speculazioni.

Su tutto questo si sommano poi le fragilità tipiche dei vari Paesi e le singole storie. In Italia c’è un problema bancario, dato che gli istituti di credito sono appesantiti da una massa enorme di crediti deteriorati: dunque Brexit diventa anche la scusa per mettere nuovamente il dito, in Borsa, su questa piaga. «L’Italia viene spesso vista come uno degli anelli deboli in Europa - osserva Andrea Delitala, capo investimenti di Pictet Am -. È normale che in un momento di incertezza soffrano i Paesi più fragili e al loro interno i soggetti più fragili, cioè le banche, la cui redditività è già appesantita dai tassi negativi». Insomma: tra timori veri o esagerati, coperture di eventuali rischi, problemi irrisolti e speculazione, gira gira le fragilità vengono sempre a galla.

m.longo@ilsole24ore.com

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