LONDRA. Anche gli allibratori danno segni di cedimento verso Brexit. Per settimane i bookies hanno assegnato alle chance di Remain fino al 78% di probabilità, ma ieri hanno ridotto le “quote” attribuendo al fronte filo-europeo il 64 per cento. Quattordici punti in meno, in una settimana o poco più, sono un’enormità nel delicato equilibrio fra pro e cons registrato in queste settimane. A determinare il ripensamento dei bookmakers sono stati i sondaggi del week end e in particolare quello del gruppo Independent che ha dato a Leave 10 punti di vantaggio su Remain.
La ricaduta è stata immediata e ha coinvolto anche i ricercatori di Berenberg bank costretti, per la prima volta, ad alzare il rischio di un divorzio anglo–europeo oltre la soglia del 30 per cento. Sono, in realtà, ipotesi che si accavallano, l’una figlia dell’altra in una rincorsa all’analisi degli umori popolari che si basa su sondaggi altalenanti e in ultima analisi abbastanza inaffidabili. C’è troppa volatilità nelle indicazioni degli istituti di statistica, troppa differenza fra gli opinion polls telefonici (pro Remain nonostante il calo si sia registrato anche qui) e online dove i militanti di Brexit mettono il fronte “divorzista” in testa.
L’incertezza è ancora grandissima e l’andamento dei mercati, sia valutario sia azionario,lo conferma anche dopo lo scossone alla sterlina e al Ftse 100 di venerdì.
Gli elettori sembrano essere del tutto impermeabili ai warning che si stanno levando da mezza mondo. L’ultimo in ordine di tempo è stato del presidente del Consiglio europea Donald Tusk secondo il quale Brexit è pericoloso per l’incertezza sul lungo periodo che potrà generare. «Da storico temo che l’uscita di Londra dall’Unione possa essere l’inizio della fine non solo dell’Ue, ma della civiltà politica occidentale». È lo scenario dell’armageddon, quello adottato, con martellante insistenza, da tutti i sostenitori di Remain. I toni talvolta sono stati forti, ma il senso di gravissima incertezza che Brexit provocherebbe è condiviso da tutte le maggiori istituzioni britanniche e internazionali, dal Tesoro di Sua Maestà al Fmi e Ocse. Il più evidente è il rischio di contagio politico, il più immediato una crisi finanziaria seguita da una crisi economica capaci di spingere il Regno Unito in recessione, irradiandosi poi al resto dell’Ue e del mondo.
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