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Parigi, guerriglia urbana sul jobs act

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Parigi, guerriglia urbana sul jobs act

  • –Marco Moussanet

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Per l’ennesima volta i parigini hanno assistito attoniti agli scontri tra giovani mascherati e poliziotti nelle strade della capitale, tra urli di sirene, esplosioni e il gas dei fumogeni. Il divieto di manifestare disposto dal ministero dell’Interno nei confronti di 134 persone, coinvolte nei tafferugli delle scorse settimane, non ha purtroppo impedito che Parigi vivesse un’altra giornata di guerriglia urbana. Con violenze che ancora una volta gettano un’ombra sulle manifestazioni organizzate dai sindacati radicali contro la legge di riforma del mercato del lavoro.

Quella di ieri - concentrata appunto nella capitale e alla quale hanno partecipato 80mila persone secondo la polizia, cioè il triplo di quelle dello scorso 31 marzo, e un milione secondo i sindacati – avrebbe dovuto esprimere il massimo della pressione nei confronti del Governo. Alla vigilia dell’incontro di venerdì tra il ministro del Lavoro, Myriam El Khomri, e il segretario della Cgt (l’organizzazione vicina al partito comunista che da oltre tre mesi guida la protesta), Philippe Martinez.

E invece fin dalla partenza della manifestazione, verso le 13.30 in Place de l’Italie, alcune centinaia di giovani a volto coperto, con i caschi e le mascherine antigas, molti vestiti di nero e agitando le bandiere nere del movimento anarchico, hanno preso la testa del corteo e hanno iniziato a tirare contro i poliziotti pietre, petardi, fumogeni, bottiglie riempite di vernice e qualche molotov. Il servizio d’ordine sindacale ha potuto fare ben poco. Per impedire i tafferugli ed evitare che i teppisti distruggessero tutto quello che hanno incontrato lungo la loro strada: vetrine, pensiline degli autobus, persino alcune vetrate dell’ospedale per bambini Necker.

Gli scontri più duri sono avvenuti lungo Boulevard du Port Royal e all’incrocio tra Boulevard de Montparnasse e Boulevard des Invalides. Urlando lo slogan “Tutti odiano la polizia”, i black bloc sono più volte partiti all’assalto, respinti dalla polizia con il lancio di lacrimogeni e, per la prima volta, l’uso dei potenti cannoni ad acqua. Mentre gli elicotteri sorvolavano la zona e i turisti fuggivano terrorizzati. La calma è ritornata solo in serata dopo la conclusione della manifestazione sull’Esplanade des Invalides. Dove molti teppisti hanno ancora cercato lo scontro con la polizia, che presidiava in massa la zona. Bilancio finale: 58 fermi e 40 feriti, tra cui 29 poliziotti.

La Cgt ce l’aveva messa tutta, noleggiando 600 pullman per portare a Parigi i propri militanti. Ma non è riuscita a evitare che l’immagine della manifestazione non sia stata quella di una pacifica protesta ma quella di un’altra giornata di violenze, caos, disordini. Che i francesi, pur tradizionalmente solidali con le mobilitazioni sindacali, iniziano a trovare insopportabili.

E il Governo scommette proprio sulla perdita di consenso dei sindacati oltranzisti, in un Paese in cerca di normalità, per tentare di chiudere, a proprio favore, la partita. Conducendo in porto una riforma, pur ampiamente annacquata rispetto alla versione originale, di cui la Francia ha assoluto bisogno. Per introdurre un po’ di flessibilità nel mercato del lavoro – ritenuto uno dei più rigidi d’Europa – e soprattutto per affermare, almeno sui temi della gestione degli orari di lavoro e sui livelli retributivi delle ore di straordinario, la priorità degli accordi a livello d’impresa rispetto a quelli di categoria.

Va detto che anche qualora dovesse vincere la battaglia con i sindacati radicali (quelli riformisti difendono il provvedimento), probabilmente consentendo ulteriori modifiche alla legge, non tutti i problemi sarebbero risolti. Già in occasione del primo passaggio parlamentare, il Governo ha dovuto porre la fiducia per aggirare l’opposizione della sinistra socialista. E altrettanto dovrà fare a luglio in occasione di quella che dovrebbe essere l’approvazione definitiva. Sempre che i frondisti del Ps non riescano a trovare i numeri per la presentazione di una mozione di censura “di sinistra”. Con il rischio – qualora fosse votata massicciamente dalla destra – di una bocciatura del Governo, che sarebbe costretto a dimettersi.

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