«Gli inglesi hanno avuto finora un piede dentro e uno fuori dall’Unione europea: non partecipano alla moneta unica o all’accordo di Schengen. In caso di Brexit saranno completamente fuori, ma avranno tutto l’interesse a mantenere un legame con la Ue. Le incognite riguardano la formula che verrà negoziata, i tempi e le modalità. L’unica certezza è che si imboccherà una strada sconosciuta». Yves Bertoncini, direttore di Notre Europe, il think tank fondato dall’ex presidente della Commissione Ue Jacques Delors, non nascondeva le sue preoccupazioni legate all’ipotesi di un divorzio, poi drammaticamente confermata dalle urne.
Quali sono gli scenari possibili dopo questo traumatico referendum? «Le regole europee - chiarisce Jannis Emmanoulidis, resposabile ricerche per il European Policy Centre di Bruxelles - forniscono solo in parte le risposte, poi entreranno in gioco variabili imponderabili che nell’uno o nell’altro caso potrebbero tratteggiare nuovi e impensabili contorni». È la prima volta che un Paese decide di abbandonare l’Unione e si tratterà di collaudare la cosiddetta “clausola di recesso” prevista dall’articolo 50 del Trattato Ue.
Il premier dimissionario Cameron dovrà notificare questa intenzione al Consiglio europeo, composto da Capi di Stato e di governo della Ue. Quel che è certo è che non si tratterà di un divorzio-lampo e dal momento della richiesta formale occorreranno almeno due anni. Dopo questo termine il recesso può scattare automaticamente, ma il Consiglio Ue potrà chiedere una proroga. Tempi lunghi, dunque, forse anche cinque anni secondo quanto ha ipotizzato il presidente della Ue Donald Tusk. «Qui, però - spiega Emmanoulidis - entra in gioco la prima incognita. La tempistica della richiesta di recesso dipenderà dall’esito del referendum e dai suoi riflessi sulla politica interna inglese». È infatti probabile che l’avvio dell’iter non sia immediato. Una volta compiuto questo passo formale il Consiglio europeo dovrà poi presentare i suoi orientamenti che serviranno da base negoziale per la conclusione di un accordo che dovrà definire le modalità di uscita e la nuova relazione tra Londra e Bruxelles. Scegliendo di abbandonare l’Unione, la Gran Bretagna diventerà infatti un «Paese terzo» che dovrà ridefinire i suoi rapporti con la Ue.
La trattativa si svolgerà secondo le regole previste dall’articolo 218 del Trattato. Al tavolo siederanno di sicuro la Commissione Ue e la Gran Bretagna e sarà il Consiglio Ue a decidere chi parteciperà. Ecco dunque una nuova incognita. Anche per il possibile accordo che potrà essere siglato con Londra, per ora si possono fare solo ipotesi sulla base delle intese esistenti, che prevedono legami più o meno stretti con Bruxelles. Tra questi il più probabile secondo gli esperti è lo Spazio economico europeo, un modello applicato a Islanda, Norvegia e Liechtenstein: prevede la libera circolazione di beni, capitali e persone e la partecipazione a programmi di ricerca come Horizon 2020. I tre Paesi contribuiscono al bilancio Ue in misura minore rispetto ai membri dell’Unione e hanno un’influenza molto limitata sul processo decisionale. «È probabile però che Londra voglia negoziare un accordo su misura», dice Emmanoulidis. Nel frattempo la Gran Bretagna continuerà a essere soggetta a tutti i diritti e doveri della Ue. I Trattati cesseranno invece di essere applicati a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso che dovrà essere approvato dal Consiglio Ue a maggioranza qualificata e dall’Europarlamento.
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