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Il consiglio dell’Fmi al Giappone: aumentate i salari

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ABENOMICS IN DIFFICOLTà

Il consiglio dell’Fmi al Giappone: aumentate i salari

Il premier giapponese Shinzo Abe (Reuters)
Il premier giapponese Shinzo Abe (Reuters)

TOKYO – Il Fondo monetario internazionale dichiara irrealistici gli attuali obiettivi numerici dell’Abenomics e preme su Tokyo perché attui una vera politica dei redditi che spinga in alto i salari per sostenere consumi e aspettative di inflazione.

Fmi “sindacalista”

L’Fmi, dunque, dice una “cosa di sinistra”: al termine della sua missione a Tokyo secondo l’art. IV del suo statuto, in un comunicato ufficiale e con una conferenza stampa del primo deputy managing director David Lipton arriva a raccomandare al governo Abe di introdurre – per le imprese redditizie - una clausola “alza i salari o devi spiegare perché non lo fai”, per assicurare che aumentino la paga-base di almeno il 3% (pari al target sull'inflazione del 2% più la media di crescita della produttività). E consiglia di accompagnare questa misura con più solidi incentivi fiscali o – come “last resort” – addirittura con misure sanzionatorie. L’Fmi suggerisce all’esecutivo Abe di dare il buon esempio impegnandosi ad alzare su base annuale tutti gli stipendi degli impiegati delle pubbliche amministrazioni e si assicurarsi che il trend sia seguito anche dalle amministrazioni locali. Provvedimenti che andrebbero supportati, sempre secondo l’Fmi, anche da eventuali round supplementari di negoziati salariali (rispetto all’unico che si tiene in primavera) e dalla richiesta di conversione dei bonus in paga-base. Il Fondo monetario, infine, raccomanda riforme del mercato del lavoro finalizzate a ridurre il dualismo tra occupazione fissa e occupazioni temporanee, con la promozione di contratti “intermedi” che diano più sicurezze e più reddito alla forza lavoro non permanente (che ormai arriva a quasi il 40% del totale). La ricetta è dunque: più decise riforme e “income policy”: «Senza una ambiziosa politica dei redditi e le associate riforme comprensive, una politica fiscale espansiva avrebbe un impatto limitato».

Target irrealistici

Così com’è, l’Abenomics funziona poco (dopo alcuni successi iniziali) e va assolutamente ricalibrata, afferma l’Fmi. I suoi dichiarati tre obiettivi principali attuali sul piano numerico appaiono irrealistici: sia il target di inflazione al 2%, sia il surplus del bilanci primario al marzo 2021, sia la crescita accelerata del Pil nominale a 600mila miliardi di yen nel 2020. Il Fondo riconosce le ragioni che hanno spinto Abe a rinviare per la seconda volta il rialzo dell’Iva al 10% fino al 2019, ma suggerisce un piano alternativo: graduali incrementi dell’1% o anche dello 0,5% dell’Iva a intervalli regolari, iniziando prima del 2019, in quanto ritiene che il rialzo dell’imposta sui consumi sia necessario a medio-lungo termine fino ad arrivare almeno al 15% (per un giusto bilanciamento tra sostegno alla crescita e sostenibilità fiscale a lungo).

Abenomics in difficoltà

Delle “tre frecce” con le quali era stata battezzata efficacemente la strategia economica del premier giapponese Shinzo Abe, finora era apparsa a molti debole soprattutto la terza, ossia le riforme strutturali per il rilancio della produttività. Anche sulla seconda – la “flessibilità fiscale” – erano piovute critiche, dopo che il primo rialzo dell’Iva dal 5 all’8% varato nel 2014 aveva fatto deragliare il momentum dell’Abenomics provocando una recessione e sembrando così tradire le promesse di efficaci stimoli fiscali (ma in seguito l’ulteriore previsto rialzo dell’Iva al 10% è stato posticipato due volte).

La politica monetaria ultraespansiva era stata invece generalmente celebrata come audace ed efficace, in quanto era inizialmente riuscita a indebolire lo yen e spronare la Borsa. Formalmente, era stata giustificata come necessaria per conseguire un target di inflazione al 2%. Senonché la Banca del Giappone ha dovuto riconoscere settimana scorsa per la prima volta che le pressioni deflazionistiche sono ritornate, con una previsione di prezzi al consumo “core” leggermente negativi. Non solo: il Nikkei Currency Index segnala che, con un rialzo del 23% nell’ultimo anno, il valore dello yen rispetto a un paniere di monete di riferimento è tornato in sostanza ai livelli della primavera 2013, quando la BoJ introdusse la sua politica di allentamento quantitativo e qualitativo. Una dinamica accelerata dai timori per il Brexit che portano gli investitori a puntare sullo yen come valuta-rifugio.

Boj zeppa di bond

L’effetto collaterale valutario del QQE, insomma, sembra evaporato, anche se le ultime statistiche segnalano un impressionante aumento dei bond pubblici detenuti dalla banca centrale: a fine marzo, la BoJ deteneva Japan Government Bonds per 364mila miliardi di yen (circa 3.500 miliardi di dollari), in rialzo del 32,7% rispetto a un anno prima e pari al 33,9% del totale dei Jgb (per contro, la Fed detiene il 12,8% dei Treasuries). A giugno l’ammontare è già salito a 373mila miliardi di yen e, secondo le previsioni di vari analisti, la banca centrale deterrà circa la metà di tutto i Jgb nel 2018. Al 31 marzo 2013, prima del QQE, la BoJ deteneva solo il 13% del totale dei JGB. Se ci sarà il Brexit, il governo giapponese potrebbe decidere – come ha ventilato – di ricorrere a interventi diretti sul mercati dei cambi per frenare l'ascesa dello yen, a costo di esporsi all'accusa di manipolazioni valutarie.

Il Fondo monetario, in conclusione, consiglia di coordinare meglio stimoli monetari, stimoli fiscali e riforme. Ed è parso benedire in anticipo un ulteriore allentamento monetario che si profila a fine luglio. Ma le opzioni per la BoJ cominciano a essere limitate: dopo l’accoglienza poco felice dei tassi negativi, molti attendono soprattutto un incremento degli acquisti di Etf.

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