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«Dibattito tra i cittadini poi voto europeo»

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«Dibattito tra i cittadini poi voto europeo»

«Il vertice a tre di lunedì a Berlino è importante e utile, e l’Italia è chiamata a giocare un ruolo fondamentale. Ma sarebbe sbagliato pensare che la rifondazione del progetto europeo possa avvenire in tempi rapidi. E solo al termine di questo processo, inevitabilmente lungo, sarà possibile dare la parola ai cittadini, con un referendum europeo sull’Europa e non su temi nazionali». Il ministro francese dell’Economia Emmanuel Macron – l’ex banchiere d’affari riconvertito in “enfant prodige” della politica d’Oltralpe - si è espresso ieri in questi termini a margine di un dibattito a Sciences Po sul dopo-Brexit e durante il dialogo con gli studenti di Rue Saint-Guillaume .

Parigi

«Partiamo però dall’inizio – esordisce Macron – dando a ciascuno le proprie responsabilità. Il risultato delle urne è innanzitutto il clamoroso fallimento del Governo inglese. Che con grande cinismo ha preso unilateralmente in ostaggio l’Europa per ragioni di politica interna. Peraltro con il paradosso che i temi populisti su cui il “leave” ha vinto, l’immigrazione e il welfare per i non inglesi, sono figli di un’Europa ultraliberale che l’Inghilterra per prima ha voluto creare, prestando più attenzione agli aspetti economici, il mercato unico e l’area di libero scambio, che a quelli politici e sociali».

E adesso? «Adesso bisogna ripartire, per ricostruire, rifondare il progetto europeo. Ricominciando dalla politica. Cercando di rimediare al decennio che abbiamo perso, dal “no” di Francia e Olanda nel 2005 alla Costituzione. Un decennio in cui ci si è limitati a una gestione tecnica delle crisi, abbandonando di fatto il progetto politico. Facendo peraltro molta attenzione a non cadere in un’altra trappola che ci stanno preparando gli inglesi. E cioè quella di un’uscita senza uscita, un’uscita finta, un’uscita che salvaguardi in qualche modo i loro vantaggi economici e finanziari. È questo che aumenterebbe il rischio di un effetto domino. Con l’Inghilterra non dobbiamo avere un atteggiamento punitivo, ma certo rigoroso. Hanno scelto e la loro scelta deve avere delle conseguenze, chiare e in tempi rapidi».

Non c’è il pericolo che il vertice di Berlino tra Germania, Francia e Italia venga percepito come la volontà di dare vita a un nuovo direttorio, l’ennesima dimostrazione di una gestione verticistica dell’Unione europea? «Non credo proprio. Si tratta di un vertice importante e utile perché serve ad avviare la riflessione, a coordinare le posizioni in vista del summit europeo di martedì e mercoledì. Oltre che a iniziare a definire il quadro dell’uscita della Gran Bretagna, che deve essere appunto la più rapida e organizzata possibile».

Che ruolo può svolgere l’Italia in questo contesto? «L’Italia ha un ruolo fondamentale. Perché è uno dei fondatori dell’Europa, perché è un grande Paese, perché è guidata da un premier risolutamente europeista e perché ha un’opinione pubblica che, stando ai sondaggi, è ancora nettamente pro-Europa, sia pure con un’adesione in calo. Sono d’altronde le ragioni per cui nei giorni scorsi sono andato in Italia a incontrare il ministro Carlo Calenda, imprenditori e banchieri».

«È insomma arrivato – prosegue Macron – il tempo dell’azione, perché lo statu quo non è più sostenibile. Questo però non vuol dire che i tempi saranno brevi. Sarebbe irrealistico pensare a un nuovo Trattato nelle prossime settimane. Un nuovo progetto sulla cessione di sovranità, sulla necessaria solidarietà europea, sulle politiche di rilancio e di sostegno della crescita, con una visione insomma orientata verso lo sviluppo ma attenta anche alla protezione, penso per esempio alla vicenda del dumping dell’acciaio cinese, richiede tempo. E sarebbe sbagliato pensare che il tempo sia inversamente proporzionale all’ambizione. Semmai è il contrario».

L’Europa è da più parti accusata di essere poco democratica. E molti, soprattutto tra gli euroscettici e gli eurofobici, chiedono l’organizzazione di altri referendum. Come si fa a coinvolgere i cittadini in questo processo senza andare incontro a probabili bocciature che porterebbero alla distruzione dell’Unione? «Bisogna fare in modo che i cittadini vadano a votare davvero sull’Europa, su un’Europa che capiscono e conoscono, e che i referendum non siano usati come strumenti di politica interna. Bisogna quindi costruire una vera opinione pubblica europea. Io credo che, una volta riusciti a raggiungere un accordo, un compromesso politico ed economico finalizzato alla crescita, bisognerà andare in giro a spiegare, discutere, confrontarsi, in maniera capillare, fino a quando non si è sicuri di aver davvero fatto capire di cosa si sta parlando, qual è la proposta che viene fatta. Dibattito, dibattito, dibattito. È dai tempi di Maastricht nel 1992 che non c’è più un vero dibattito sull’Europa. Gli appuntamenti elettorali previsti tra la primavera dell’anno prossimo e quella dell’anno successivo, in Francia, Germania e Italia, saranno delle formidabili occasioni da utilizzare a questo fine. Solo a quel punto si potrà chiedere l’opinione dei cittadini. Non con referendum spot a livello nazionale ma con un grande referendum europeo sull’Europa, da svolgersi contemporaneamente in tutti i Paesi». Un lavoro in fondo analogo a quello che su scala francese proprio Macron sta cominciando a fare con il suo movimento “En marche”. Un confronto porta a porta.

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