Mondo

Un negoziato che non consente «time out»

  • Abbonati
  • Accedi
I RITARDI DI LONDRA

Un negoziato che non consente «time out»

Che fare ? Fare presto. Non si creda che questo giornale abbia sempre fretta, ma è imperativo, il giorno dopo Brexit, rispolverare un'esortazione a noi cara, divenuta parola d'ordine nel pieno della crisi dell'euro. Quanto è accaduto a Londra non consente di assistere, troppo a lungo ancora, a quanto sta accadendo a Londra. La creatività non manca, alle latitudini dove ci troviamo, in queste ore di acceso dibattito fra chi si dice convinto che l'addio all' Ue non avverrà mai; chi crede che ci sarà un secondo referendum a stretto giro; chi invece pensa che la consultazione sarà ripetuta solo dopo elezioni politiche; chi vorrebbe attendere il cambio di leadership di Tory e Labour party; chi invoca pause di riflessione, ritardando la ratifica parlamentare e l'innesco dell'articolo 50 dei Trattati che fa decorrere i due anni di negoziati per il recesso.

Ottime argomentazioni per un bel salotto di fini esegeti del diritto comunitario, storici della politica e costituzionalisti (in un Paese che non ha Costituzione scritta) se non fosse issato nel mezzo di una crisi che -al di là della pausa di ieri - spazza i mercati come non mai.

Si genera un’incertezza che nelle emozioni ci porta diritti con il pensiero ai giorni del 2008. Di quella crisi, prodotta dal sistema finanziario anglosassone, e di quella successiva, dell’euro, tutte le capitali Ue, con la sola eccezione di Londra, portano ancora segni profondi. Non entriamo ora nel dettaglio di questo scenario, ci limitiamo a constatare una realtà che impone di fare chiarezza – e di farla subito – sull’iter dell’uscita britannica all’Unione europea, per dare le risposte che i cittadini, le imprese, i mercati chiedono. In Italia più che altrove per la fragilità reale e soprattutto per la fragilità percepita del nostro sistema bancario e della nostra finanza pubblica. E sulla fragilità percepita vale la pena di spendere un parola proprio da Londra dove l’ambasciatore Terracciano è impegnato in un’operazione-chiarezza indispensabile, correggendo articoli di giornali che anche in queste ore di harakiri nazionale hanno il tempo di indugiare sul caso Italia con valutazioni spesso figlie dell’abitudine . Gli interessi britannici, anche in questa fase, sono speculari a quelli del resto d’Europa e le conseguenze di Brexit, nell’immediato, non proporzionali. Al netto della sterlina, i mercati britannici hanno pagato un prezzo nell’ampiezza delle oscillazioni meno oneroso di quanto accaduto alle piazze di casa nostra. Le ragioni sono evidenti – basti considerare le dimensioni – ma resta la consapevolezza che il costo economico immediato della “secessione” inglese rischia di precipitare più fragorosamente sul resto dell’Unione e sui più esposti nell’Unione, che sul Paese che l’ha sancita. E sullo sfondo cresce il rischio del contagio politico di Brexit, la variabile più temibile. Per questo accelerare è un’urgenza assoluta, nella consapevolezza che il peccato originale è non averci pensato prima, imponendo al Paese una scansione certa dei tempi di uscita, al di là dell’impegno che il premier David Cameron aveva preso (avvierò subito l’articolo 50) nel corso della campagna referendaria. Lo ha ritrattato appena constatata la sconfitta, sprofondando un continente nell’attesa, al ritmo di mercati in caduta.

Londra punta, esplicitamente, a perdere tempo, diluendo i tempi della ritirata per capire come poter risolvere un’equazione impossibile: restare nel mercato interno, amputandolo della libera circolazione dei lavoratori. Se un single market monco della sua espressione più visibile – i cittadini – appare inaccettabile a tutti, sui tempi da concedere a Londra la compattezza sembra sia stata ritrovata, a giudicare dalla decisione dell’Europarlamento e dalle parole della stessa Merkel. Londra ha un negoziato da intavolare con i partner da cui dipende il suo destino. Se vuole avviarlo nel modo peggiore deve fare una sola cosa: dilatare oltremodo il suo ritorno a casa. La Gran Bretagna ne è consapevole e per questo ha cercato di dividere il fronte dell’Unione per guadagnare settimane e risolvere l’interrogativo che angustiava Lenin. Che fare ? Una bella domanda che Londra ha posto a sé stessa e a cui solo Londra può e deve rispondere.

A noi basta che sia presto. Anzi subito.

© Riproduzione riservata