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I parlamentari laburisti sfiduciano Corbyn

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I parlamentari laburisti sfiduciano Corbyn

londra

Inchiodato alla poltrona. Jeremy Corbyn leader sconfessato del suo partito ha annunciato di non volersi ritirare dalla guida del Labour party, nonostante un voto di sfiducia inequivocabile con 172 parlamentari contro e solo 40 a favore.

La ribellione dei deputati è avvenuta ieri a meno di ventiquattr’ore dalla sollevazione del governo ombra e della cosiddetta front bench, la panca frontale, dove siedono i pezzi da novanta dello schieramento parlamentare. Sulla scrivania di Jeremy Corbyn erano infatti giunte una cinquantina di lettere di dimissioni innescate, domenica, da quelle di Hilary Benn, ministro degli esteri ombra, figlio di Tony Benn esponente storico dell’ala più radicale del partito laburista. Benn era stato franco e in una telefonata aveva detto al suo leader che il partito non aveva più fiducia in lui. Jeremy Corbyn non ha atteso neppure un istante per sollevarlo dall’incarico dando il via a una sollevazione che non si attendeva.

Il pollice verso di metà e più del governo ombra e di 172 deputati è un risultato senza appello, ma la resistenza di Corbyn non è prodotto solo di un’impennata d’orgoglio. «Io sono stato eletto, democraticamente eletto, leader di questo partito per lanciare una nuova strategia politica dal 60% degli iscritti al partito. Non li tradirò dimettendomi», ha detto prima di confermare la sua determinazione battersi contro l’eventuale sfidante.

All’origine della crisi laburista c’è solo in parte lo scarso impegno di Jeremy Corbyn a favore di Remain in occasione del referendum sull’adesione all’Unione. È stato il detonatore di un malumore più profondo, radicato nel sistema di elezione del leader labour che è stato riformato di recente e conferisce a militanti di base e agli esponenti delle Unions poteri tali da ridurre il peso dei deputati. Un senso di emarginazione sul quale si è innescata la paura della cosiddetta deselection, ovvero la sostituzione nel collegio elettorale di appartenenza. Al congresso di ottobre è atteso uno scontro duro su questa procedura che darebbe al leader poteri ulteriori sulla scelta dei candidati.

In un quadro del genere la debole, equivoca, volutamente incerta campagna di Jeremy Corbyn a favore di Remain è stata elemento di ulteriore tensione, esplosa con la sconfitta al referendum per volontà anche di quell'elettorato Labour che nelle aree depresse del nord del Paese hanno votato contro. Contro il sistema, contro il governo Cameron, contro l’Europa. E quelle sono proprio le truppe di Jeremy Corbyn, la sua base, il suo popolo.

Legittima quindi la sollevazione dei deputati, resa imperativa dal rischio di elezioni politiche anticipate. Per il partito d’opposizione è una grande opportunità vista la spaccatura dei Tory sull’Europa, ma per vincere hanno bisogno di una guida. Corbyn non lo è almeno nelle parole di Hilary Benn che nel consegnargli le dimissioni aveva commentato: «Jeremy è una brava persona, ma non è un leader». Ora i ribelli cercano di riunirsi dietro un solo candidato che sfiderà lo stesso Corbyn in settembre. Angela Eagle, Tom Watson e Yvette Cooper sono i papabili per una posizione chiave in un partito che se non agirà subito potrebbe presto – come accadde negli anni Ottanta – ritrovarsi sull’orlo della scissione.

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