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Nuova strage a Istanbul, 50 morti

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Nuova strage a Istanbul, 50 morti

  • –Vittorio Da Rold

Il giorno dopo la distensione diplomatica con Mosca e la ripresa del processo diplomatico con Israele che porterà alla nomina dei rispettivi ambasciatori a seguito delle firma dell’accordo per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, è arrivata la notizia destabilizzante dell’attacco terroristico all’aeroporto di Istanbul. Almeno 50 persone sono morte e altri 106 sono rimaste ferite nella duplice esplosione avvenuta nella tarda serata di ieri all’aeroporto Ataturk di Istanbul, il principale della metropoli sul Bosforo e uno dei maggiori dell’area mediorientale. Un secondo scalo - il Sabiha Gokcen - si trova nella parte asiatica di Istanbul abitata da quasi quindici milioni di persone. Il tragico bilancio, che si aggiunge ai circa 100 morti degli ultimi sei attentati, è stato riferito da un funzionario turco alla agenzia Dowjones mentre l’aeroporto resterà chiuso fino alle 13 di oggi.

Le autorita' americane hanno

deciso di bloccare ogni volo Usa verso Istanbul e viceversa .

Il ministro della Giuustizia ha detto che uno dei tre attentatori ha sparato colpi d’arma da fuoco con il kalashnikov prima di farsi saltare in aria. A quanto riferiscono alcuni funzionari turchi, tre kamikaze si sono fatti esplodere all’aeroporto Ataturk di Istanbul prima di passare al primo controllo sicurezza (nell’aeroporto si devono passare due controlli), dopo che la polizia aveva aperto il fuoco contro di loro. Le esplosioni sono avvenute al terminal internazionale, mentre la sparatoria ha avuto luogo nel parcheggio. Il premier Matteo Renzi («Esprimo un sentimento di vicinanza profondo al governo e al popolo turco per ciò che è avvenuto ad Istanbul. Eventi di questo tipo confermano la necessità di una risposta forte e coesa contro la minaccia del terrorismo») e alcuni laeder europei presenti a Bruxelles hanno condannato gli attentati e espresso la loro vicinanza alle famiglie delle vittime.

Fare supposizioni sulla matrice degli attentatori è ancora troppo presto ma azioni di questo tipo non si pianificano in pochi giorni. I principali sospettati sono cellule dell’Isis sempre più in difficoltà o gruppi di separatisti curdi nel recente passato resisi responsabili di numerosi attentati dopo la fine dei negoziati.

Nel caso ci fosse una rivendicazione dei separatisti curdi c’è il rischio di un circolo vizioso nell’escalation di violenze tra governo turco e separatisti del Pkk e del gruppo scissionista, il Kurdistan Freedom Falcons (Tak). Per arrivare all’obiettivo politico della repubblica presidenziale, il presidente Erdogan da oltre un anno ha rimesso in auge i toni più accesi della retorica nazionalista, archiviata la fragile tregua con i separatisti curdi e riaperto un sanguinoso conflitto che ha provocato 45mila morti dal 1980. Tutto questo per erodere consensi all’Mhp, il partito nazionalista del professore Devlet Bacheli, il politico che ha saputo mettere il doppio petto alla formazione dei Lupi grigi dove militava anche Ali Agca, l’attentatore di Papa Wojtyla.

L’operazione politica è riuscita all’Akp, il partito di Erdogan, ma c’è il rischio di polarizzare il Paese. L’esercito turco ha attuato una dura repressione nelle zone del Sud-Est del Paese coinvolgendo anche i maggiori centri abitati. Gli abitanti di Cisre o Diyarbakir hanno subito il coprifuoco, a volte la richiesta di abbandonare le proprie case, e in altre occasioni hanno assistito ad assalti alle abitazioni. Intere aree di certi quartieri sono state trasformati in zone di guerra. Di fronte al pugno duro di Ankara, i separatisti del Pkk e dei Falconi, hanno portato gli attacchi nelle città più popolose della Turchia.

Dalla scorsa estate, l’offensiva dell’esercito turco, contro il Pkk nelle regioni curde del Sud-Est ha causato centinaia di morti su entrambi i fronti e decine di migliaia di sfollati, mentre nessuno parla più di negoziati (compresi uno gruppo di accademici che sono stati licenziati e perseguitati per aver chiesto di riaprire un tavolo delle trattative). Ankara promette di fermarsi solo dopo la «totale eliminazione» del Pkk. A un anno dallo storico successo elettorale del partito filo-curdo Hdp, il primo a entrare nel Parlamento di Ankara, superando la soglia di sbarramento del 10%, la situazione è precipitata. Un conflitto che potrebbe ulterirmente radicalizzarsi con la marginalizzazione dei deputati curdi, alcuni dei quali rischiano l’arresto con l’accusa di complicità con il Pkk, dopo la controversa revoca dell’immunità parlamentare per quelli sotto inchiesta.

L’attacco di ieri, il settimo di una lunga scia di sangue che in Turchia sembra non fermarsi più, rischia di avere pesanti ricadute anche sul turismo, settore chiave dell’economia turca, già in ginocchio dopo la raffica di attentati degli ultimi mesi. Ad aprile, gli arrivi dall’estero erano crollati del 28%: la più grande fuga di stranieri degli ultimi 17 anni. Il presidente Erdogan forse raggiungerà l’obiettivo di una repubblica presidenziale, ma con un Paese profondamente diviso e destabilizzato.

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