Mondo

Se la «iattura» di Brexit diventa un’occasione per il…

  • Abbonati
  • Accedi
L'Analisi|Europa

Se la «iattura» di Brexit diventa un’occasione per il sistema-Italia

Fare terziario avanzato? Siamo capaci. Fare manifattura? Siamo molto capaci. Smettiamo di realizzare policy per l'attrazione degli investimenti esteri disarticolate e tendenti alla polverizzazione. Concentriamo le risorse e discutiamo direttamente con le imprese oggi situate in Inghilterra che ci interessano, mettendo sul piatto più strutture materiali e immateriali possibili e tutti i soldi e tutte le facilitazioni di cui siamo capaci. Facciamolo con una accorta regia nazionale, che eviti la iattura della concorrenza cannibalizzante fra le Regioni. Non agitiamoci: selezioniamo gli obiettivi.

Pochi e strategici, da corteggiare con astuzia e determinazione. A quel punto, Brexit potrebbe diventare un grosso business - è il caso di usare proprio questo vocabolo – per l'Italia. Iniziamo dal terziario avanzato. La metà degli anni Novanta è stato il periodo aureo della Omnitel generata da una costola della Olivetti debenedettiana: allora l'Italia ha avuto la leadership europea dell'innovazione nei servizi telefonici. Negli anni successivi, quando con diversi passaggi la Omnitel è confluita in Vodafone, la consociata – anzi, la subsidiary - italiana è risultata per lungo tempo la più redditizia e la meglio organizzata della multinazionale inglese. La quale, peraltro, è guidata dal 2008 dall'italiano Vittorio Colao, formatosi ai massimi livelli proprio nella avventura di Omnitel.

Dunque, non sarebbe irragionevole una apertura di dialogo, da parte delle nostre autorità, con una Vodafone impegnata in una riflessione, nel caso in cui l'identità giuridica e strategica inglese della sua parent company diventasse un problema. In Italia, si trovano non pochi poli della telecomunicazione: in Piemonte, in Lombardia, nel Lazio. Punto secondo: la manifattura. Con Brexit, la rinascita industriale della Gran Bretagna rischia di diventare un meccano formato da pezzi disgiunti e, dunque, trasportabili da una parte all'altra. Prendiamo l'automotive industry, uno degli elementi essenziali della ricostituzione negli ultimi quindici anni di un tessuto produttivo vivace e articolato, dopo la deindustrializzazione dell'epoca thatcheriana, quando l'Inghilterra abbracciò sia sotto il profilo politico-ideologico sia nella specializzazione produttiva la finanziarizzazione e il liberismo. In Inghilterra quindici costruttori hanno fabbricato, nel 2015, 1,6 milioni di automobili.

E' un settore che dà lavoro a 800mila addetti. Ci sono i produttori tedeschi, che in caso di disallineamenti fiscali o minori convenienze nelle partite e nei flussi economici infragruppo senz'altro considereranno l'ipotesi di un re-shoring o di una delocalizzazione nell'Est Europa. Ma ci sono anche i produttori asiatici: soltanto i giapponesi, guidati da Toyota, hanno investito in Inghilterra poco meno di 60 miliardi di dollari. In questo caso, il discorso si fa molto interessante. La dorsale padana è tutta lì: Piemonte, Lombardia e Veneto. Più la Via Emilia della Ferrari Valley. Il sistema industriale italiano – la componentistica ma anche la sistemistica, il design ma anche la meccatronica – ha tutto per accogliere nella sua placenta tecnoproduttiva gli stabilimenti e i centri di ricerca di queste case automobilistiche. Una linea produttiva dell'auto non è una acciaieria. Smontarla e rimontarla ha un costo. Ma si può fare. A questo punto, però, per l'automotive industry come per altre specializzazioni italiane, la calamita sulle multinazionali e sulle imprese oggi situate in Inghilterra sarà tanto più efficace quanto più elevata risulterà la qualità dell'offerta imbastita dal nostro Paese. Non pensiamo al cattivo profilo reputazionale che ci circonda nel fare impresa. Proviamo ad azzerarlo e a ripartire. Serve un coordinamento nazionale, in grado di condividere con tutte le Regioni obiettivi e mezzi, definendo chi fa che cosa. Quindi, occorre identificare i casi precisi su cui focalizzare le energie. Procedere a casaccio sarebbe sbagliato. Infine, bisogna trovare le risorse finanziarie da fare precipitare su progetti chiari e circostanziati e occorre definire sgravi fiscali che rendano conveniente la scelta di venire in Italy. Brexit è una vera iattura. Brexit può diventare una occasione unica. Proviamoci.

© Riproduzione riservata