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Cameron a Corbyn: per amor del cielo, vattene

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Cameron a Corbyn: per amor del cielo, vattene

  • –Leonardo Maisano

londra

«Per amore del cielo, vattene». Suona più o meno così l’appello echeggiato ieri alla Camera dei Comuni dove il premier David Cameron, manifestamente spazientito dalle domande dell’oppositore e premier- ombra, Jeremy Corbyn, è sbottato. «Può essere nell’interesse del mio partito averti seduto lì – ha incalzato il capo del governo – ma non è nell’interesse del Paese».

La Gran Bretagna ha ormai superato la soglia della crisi di nervi e si muove in maniera scomposta sia all’interno del partito di governo sia in quello d’opposizione, continuando a offrire un’immagine di sè aliena dalla realtà. Insiste sull’accesso al mercato interno e insiste sull’esclusione della libera circolazione dei lavoratori, cercando una via d’uscita che i partner le negano. Alza quasi la voce per riaffermare diritti nient’affatto evidenti e – nelle parole dei Tory sia leavers che remainers – si nota l’asprezza di chi pretende oltre il lecito.

Se l’impasse di Brexit nei rapporti con l’Europa è (quasi) tutta nell’equazione immigrati-mercato unico, l’impasse della politica britannica è paradossalmente più complessa. Ai Comuni non si è vista solo l’aggressività di David Cameron, ma anche il suo imbarazzo quando sollecitato da Corbyn (quando avvierai l’articolo 50 ? Quando varerai una legge straordinaria a tutela dei cittadini Ue?) ha risposto che sono tutti compiti del suo successore, prima di esplodere con quel «vattene» quando Corbyn ha imputato la sconfitta di Remain «all’impoverimento del Paese» per le politiche Tory.

Si profilano quindi due mesi almeno di assoluta perdita di tempo, nella paralisi dell’iniziativa politica britannica dopo il collasso innescato da Brexit. Tanto ci vorrà per scegliere il successore di David Cameron sia alla testa dei conservatori sia del govermo. Venendo meno agli impegni con i partner - «avvierò immediatamente l’articolo 50», aveva detto il premier in campagna referendaria nell’ipotesi di una sconfitta poi maturata - David Cameron ha scelto, una volta ancora, di tutelare solo il proprio partito. Fra ieri e oggi si chiudono le candidature. Per ora si è fatto avanti formalmente solo Stephen Crabb, sottosegretario al lavoro, esponente di Remain, ma deciso a «rispettare la volontà degli elettori». In altre parole non cercherà un nuovo voto.

Oggi sarà la volta di Boris Johnson e Theresa May che insieme a altri candidati senza troppe chance, si giocheranno la partita per Downing street. Theresa May è ministro degli interni, debole sostenitrice di Remain, fermissima sui temi dell’immigrazione. È considerata un possibile punto di compromesso rispetto a quello che resta il favorito, Boris Johnson guida dei brexiters. L’ex sindaco di Londra dopo aver fatto una campagna al vetriolo, paragonando l’Unione europea alla Germania nazista, cerca ora di arrotondare le asperità, promettendo a tutti tutto e il contrario di tutto. In linea, insomma, con quella strategia della menzogna che ha segnato lo scontro sull’Europa, stracciando il velo su un volto sconosciuto della politica britannica.

Più drammatica se possibile è la crisi del Labour party. Dopo la sollevazione della base parlamentare, si sono mobilitati pesi massimi, seppure ai margini della scena politica, da Gordon Brown a Ed Miliband espliciti nel chiedere a Jeremy Corbyn di andarsene. Il leader e soprattutto la sua ristrettissima cerchia di alleati, a cominciare dal cancelliere ombra l’ultra radicale John Mc Donnell, non cede assolutamente. L’impasse disegna lo scenario di una possibile nuova scissione perchè i candidati allineati alla successione stentano a opporsi al leader. Il metodo di elezione – i militanti e le unions – favorisce ancora Jeremy Corbyn, da qui la resistenza dei papabili a una sfida aperta. Un’impasse che imprigiona il Labour e che ha spinto il vice di Jeremy Corbym, Tom Watson, a riconoscere che «il partito laburista è impigliato in una crisi capace di minacciarne l’esistenza stessa». Scenario da scissione, appunto, come già avvenne negli anni Ottanta con la cosiddetta banda dei quattro quando da una costola del Labour nacque il partito socialdemocratico, oggi LibDem. Sono questi ultimi gli unici a trarre una boccata di ossigeno dallo tsunami Brexit. Da sempre europeisti i LibDem, ridotti ai minimi termini nelle elezioni del 2015, stanno moltiplicando il sostegno popolare, con migliaia di richieste di iscrizione al solo partito eurofilo e che, anche per questo, sembrava destinato a soccombere.

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