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Dossier Europa, «buona la prima» dopo Brexit

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Dossier | N. (none) articoliReferendum su Brexit

Europa, «buona la prima» dopo Brexit

Non era mai successo che l’Europa provasse seriamente a prevenire le sue crisi. Dalla crisi finanziaria a quella debitoria, da Grexit all’emergenza migranti ha sempre preferito il ruolo del pompiere incerto e riluttante o del castigamatti ardente e repressivo. Ha agito sempre tardi e sull’orlo dell’abisso, tra l’altro dilatando così le sue crisi e scaricando spettacolari costi aggiuntivi su cittadini e contribuenti che invece, paradossalmente, a parole si sbracciava a dire di difendere.

Questa volta no. Le sono bastate poco più di 48 ore dall’esito del referendum secessionista inglese, per decidere e scongiurare il peggio. Per impedire, prima che scoppiasse, una crisi bancaria italiana fuori controllo, che inevitabilmente sarebbe diventata europea. L’impatto con l’immediata e virulenta reazione dei mercati, dall’occhio dovunque puntato sul comparto bancario, e forse anche la lezione dei disastrosi precedenti l’hanno spinta a voltare pagina.

È nata così la prima volta della politica europea di precauzione. Effetto Brexit. Risveglio pronto, finalmente, degli istinti europei di autoconservazione.

Non poteva essere altrimenti, visto che i negoziati sul divorzio rischiano le calende greche. Per l’Europa e per l’euro significa un pericoloso periodo di prolungate incertezze. La notifica del voto inglese e la parallela attivazione dell’articolo 50 per trattare l’uscita, pare infatti che non arriverà entro l’anno ma slitterà al 2018 in attesa dell’esito delle elezioni in Olanda, Francia e Germania. Per evitare salti nel buio, è infatti probabile che il nuovo governo di Londra vorrà prima sapere dove andrà a parare il suo posto nel mercato unico.

In Europa ha prevalso la stessa logica della cautela preventiva: per il timore della moltiplicazione dei bacini di destabilizzazione interna ed esterna, unito alla consapevolezza di non potere resistere indenne su più fronti problematici in contemporanea, soprattutto quando di mezzo non c’è la Grecia ma la tenuta della terza economia dell’eurozona, con le banche sotto attacco sui mercati.

Pur con la migliore buona volontà, la Bce di Mario Draghi da sola non avrebbe potuto fare miracoli. Non avrebbe potuto con un'unione bancaria europea solo a metà e per di più negata proprio nell'aspetto decisivo della mutua assistenza tra partner. Di fronte a un possibile nuovo incendio appiccato dal focolaio italiano, l'ostinato rifiuto della mutualizzazione dei rischi ha dovuto inevitabilmente tradursi nella massima flessibilizzazione delle regole europee.

Nominalmente non cambiano ma sfruttano tutti i margini previsti per rispondere ai contraccolpi dell'innegabile emergenza Brexit. E così l'Italia potrà azionare lo scudo da 150 miliardi di garanzie pubbliche per le banche sane in apnea di liquidità. Un potente deterrente temporaneo (ma prorogabile) contro la speculazione, non utilizzabile però per le ricapitalizzazioni né per sfuggire alla normativa del bail-in.

Il sistema Italia ha conquistato la sua boa di salvataggio, da finanziare solo con i propri mezzi , aumentando il debito pubblico e secondo la logica di rinazionalizzazione che, dall'inizio della crisi finanziaria, ha guidato l'involuzione del mercato europeo dei capitali pubblici e privati. L'Europa a sua volta ha dato prova di buon senso e di lungimiranza nell'interesse collettivo, prima che italiano.

Del resto sarà presto chiamata a dare la stessa prova di lucidità politica anche nella gestione del patto di stabilità. Per le sue regole, Spagna e Portogallo dovrebbero incorrere in sanzioni per non aver mantenuto gli impegni presi sul contenimento del deficit pubblico sotto la soglia del 3%.

Ma è politicamente fattibile quando la crescita economica non riparte, la disoccupazione scende troppo poco, nazionalismi e partiti euroscettici crescono in società impoverite oltre che inviperite contro l'Unione dei tanti sacrifici e delle poche speranze? Senza contare che un grande paese come la Francia da quasi un decennio ignora la regola del 3% senza per questo ritrovarsi multata.

A parole ormai sono sviluppo, lavoro e giovani le nuove priorità che l'Unione intende perseguire per riconquistare il consenso perduto tra i suoi cittadini. Senza affossare i codici di buona condotta indispensabili per assicurare il buon governo dell'interesse comune. Esercizio di equilibrio complesso, quanto quello della legittima flessibilità.

A una settimana dallo storico shock di Brexit, l'Europa per ora sembra uscire migliore: l'ennesima crisi, più grave questa di qualsiasi altra, pare ricompattarla rendendola al tempo stesso un po' più ragionevole, incoraggiandone spinte centripete invece che centrifughe. Ammesso che duri, la svolta è promettente.

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