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export a rischio sterlina

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export a rischio sterlina

  • –Laura Cavestri

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erdere un tassello del puzzle europeo come il Regno Unito potrebbe innescare una reazione a catena non solo nell’interscambio import-export tra Roma e Londra. Ma anche nelle catene del valore – globalizzate a prescindere dalla volontà dei cittadini – tra Italia, Gran Bretagna e Germania. Una reazione a catena troppo complessa da quantificare oggi ma che sarà fortemente condizionata anche dalla fisionomia che assumeranno i futuri rapporti. E sulla quale peserà la svalutazione, o quantomeno, nel breve periodo, l’instabilità della sterlina, una “leva” poco utilizzata da un Paese che vanta tradizionalmente una moneta forte.

Per meccanica, farmaceutica, design e food “Made in Italy”, la Gran Bretagna è, infatti, uno di quei mercati (con Francia e Germania) che, negli anni di crisi, ci ha permesso di arginare le perdite, quando non di aumentare, margini e fatturati.

Nel 2015 il valore delle esportazioni italiane di merci verso la Gran Bretagna è̀stato pari a circa 22,5 miliardi di euro (in aumento del 7,6% rispetto al 2014) e con una crescita costante nel corso negli ultimi anni. E siccome il valore delle importazioni italiane è̀rimasto sostanzialmente stabile, l’avanzo commerciale dell’Italia è̀salito, l’anno scorso, a quasi 12 miliardi (raddoppiando rispetto al 2011).

Tuttavia, secondo l’ufficio statistico tedesco Destatis, la Gran Bretagna è anche il terzo mercato di export per Berlino (dopo Usa e Francia) e il secondo per destinazione degli investimenti diretti esteri tedeschi (sempre dopo gli Stati Uniti). L’export tedesco oltremanica è cresciuto, l’anno scorso, del 13%, sfiorando i 90 miliardi di euro. Questo spiega forse anche perchè la posizione della cancelliera Angela Merkel, nei confronti di Londra, è assai meno “punitiva” e più “morbida” rispetto a quella del presidente della Commissione, Jean Claude Juncker.

«Più che misurare l’impatto della Brexit solo in termini di import-export bilaterale – ha spiegato Franco Bruni, ordinario di Teoria e Politica monetaria all’Università Bocconi di Milano – bisogna capire quale tipo di frenata, la fuoriuscita di Londra, avrà sugli investimenti tedeschi nel Regno Unito e su quanto rallenterà il flusso di beni e servizi. Perchè essendo noi fortemente legati, nelle catene del valore, dalla meccanica alla farmaceutica, proprio alla Germania, il contraccolpo potrebbe essere ancora più pesante». Quanto? Impossibile dirlo ora. «Per ltro – aggiunge Bruni – per un paio di anni non accadrà nulla a livello normativo. Londra sarà ancora nella Ue . C’è tutto il tempo per fare un accordo costruttivo che non pesi sull’export e ed eviti l’instabilità della sterlina.

Per le aziende inglesi una sterlina debole significa importazioni di materie prime più costose, quindi margini economici inferiori sui prodotti finiti a parità di prezzo. Però, gli esportatori britannici diverrebbero più “competitivi” e il turismo, a Londra, meno costoso. Rimarrebbero comunque svantaggiate le aziende britanniche che producono parzialmente all’estero per poi rivendere dal Regno Unito (automobilie farmaceutica in testa), mentre le aziende europee, con i prezzi in euro, dovrebbero adeguare al ribasso i listini.

«La Gran Bretagna – ha aggiunto Bruni – è un Paese che ha da sempre un forte accumulo di passivo nella bilancia dei pagamenti. Importa assai di più di quanto esporta. Dalle commodities ai prodotti finiti. La svalutazione monetaria può avere un effetto “positivo” minimo inziale, ma è destinata ad accrescere questo squilibrio e a far ripiegare sul sè stessa la Gran Bretagna. A meno che i negoziati non trovino una soluzione intelligente e nell’interesse anche della Ue. Ad oggi non si sa neppure chi saranno gli interlocutori».

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