Il risultato sugli stress test condotti su una cinquantina di grandi banche europee sarà comunicato il 29 luglio, ma non ci sarà alcun automatismo quantitativo che provochi ricapitalizzazioni di massa. Ciò non vuol dire che le cinque banche italiane della Penisola, ricomprese nel monitoraggio - Intesa-SanPaolo, UniCredit, Mps, Banco Popolare e Ubi - non abbiano bisogno di “aggiustamenti” patrimoniali più o meno forti. L’unico istituto che può considerarsi al riparo è il Banco Popolare che ha appena condotto in porto l’aumento di capitale da 1 miliardo, richiesto proprio dalla Bce come precondizione per procedere alle nozze con Bpm. Per le altre - soprattutto UniCredit e Mps - il mercato si aspetta qualche intervento di rafforzamento patrimoniale, che non necessariamente significa un aumento di capitale tout court. Per esempio per quanto riguarda UniCredit, si stima che manchino due punti di capitale e ogni punto vale all’incirca 4 miliardi. Ma l’istituto oggi guidato da Jean-Pierre Moustier ha molte leve a disposizione per ridurre l’importo di una ricapitalizzazione che comunque dal mercato viene ritenuta inevitabile. Può per esempio cedere partecipazioni, con la cautela di non pregiudicare la redditività. Meno margini di manovra ha invece l’Mps, che in Borsa è trattata appena al 10% del suo patrimonio netto: per Siena le esigenze di capitale sono stimate dai 3 ai 5 miliardi.
L’Eba, l’Authority di vigilanza europea sulle banche, ha confermato l’approccio tailor-made, il da farsi sarà valutato cioè individualmente con ciascun istituto. In linea con le attese. Tant’è che - riferisce Antonio Guglielmi, responsabile della ricerca di Mediobanca Securities a Londra - all’incontro a porte chiuse che era stato organizzato dalla banca d’affari il mese scorso con una quarantina di investitori e il vertice dell’Eba, per approfondire le tematiche di Basilea 4 e stress test, non c’era stata nessuna domanda su quest’ultimo punto. «Evidentemente il mercato lo considerava un non-evento», è la deduzione di Guglielmi. Nel frattempo c’è stata la Brexit. E se prima si poteva sospettare in un giro di vite sulla classificazione delle sofferenze, come è avvenuto recentemente negli Usa, oggi, a giudizio del capo-analista di Mediobanca securities, non ce lo si aspetta più. Ma nemmeno risulta che ci sia stato un focus particolare sugli attivi illiquidi, i cosiddetti asset di livello 3, o sui derivati che invece, a differenza delle sofferenze che sono poste pregresse, difficilmente sono Brexit-free. Nel caso di un istituto come Deutsche Bank, è stato calcolato (sulla base dei dati di bilancio del primo semstre 2015) che basterebbe una perdita di poco superiore al 15% nello stock dei derivati in portafoglio per bruciare l’intero capitale del colosso tedesco dai piedi d’argilla. Tant’è che non a caso il titolo ha ceduto qualcosa come il 45% da inizio anno, sprofondando ai minimi degli ultimi trent’anni. La ricapitalizzazione per la banca di Francoforte sarebbe però un esercizio funambolico, perchè, oltre al Santander, anche Deutsche Bank quest’anno è stata bocciata negli Usa agli stress test della Fed e ogni euro di iniezione di capitale rischierebbe di essere risucchiato coercitivamente dalla filiale americana.
Ma per tornare a noi, più che UniCredit il vero problema è Mps. «Mi ha colpito - osserva Guglielmi - che quest’anno il Monte abbia deciso di pagare in contanti, anzichè in azioni, gli interessi al Tesoro sui Monti bond». Quasi a lasciare spazio per un intervento della Cdp, che potrebbe entrare in consorzio come “sottoscrittore di ultima istanza”, rilevando l’inoptato, nel caso in cui Siena si trovasse costretta a ricorrere un’altra volta al mercato. Certo, occorrerebbe assicurarsi di non incontrare ostacoli nella Ue. Occorrerebbe forse invocare l’articolo 107 del Trattato di Lisbona, che ammette gli aiuti di Stato, in deroga al bail-in, in presenza di eventi eccezionali che mettano a rischio la stabilità del sistema. Indiscrezioni parlavano di un pressing dell’Italia per ottenere l’ok comunitario a un piano di garanzie da 40 miliardi, volto a sostenere le esigenze di ripatrimonializzazione delle banche. «Ma attenzione - avverte Guglielmi - che nessun pasto è gratis». A meno che ci si convinca che è interesse di tutti intervenire per prevenire il peggio: in un domani forse non troppo lontano anche Deutsche Bank potrebbe avere bisogno d’aiuto. «Meglio un Tarp europeo, piuttosto che solo un Tarp italiano», conclude l’analista.
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