
Londra fa i conti con il rischio della grande fuga. Si comincerà dalle authority europee, più direttamente minacciate, si proseguirà con le imprese finanziarie che rappresentano il 12% del pil nazionale, si continuerà con gli investimenti esteri diretti di cui la Gran Bretagna fa bisboccia da anni, magnete vero dello sviluppo economico del Paese. Il 6 luglio il sindaco di Milano Giuseppe Sala avvierà l’offensiva del nostro Paese per partecipare alla teorica spartizione di Londra, incontrando il presidente dell’European banking authority, Andrea Enria e il presidente European medicine agency Guido Rasi. Brexit impone infatti l’espulsione da Londra di autorità europee chiamate a trasferire le sedi con centinaia di dipendenti in seno all’Unione. Altri più lucrosi business sono, però, in lista d’attesa per una possibile partenza da Londra.
«La realtà – dice l’ex ambasciatore Alain Economides, oggi vice presidente per gli affari internazionali del gruppo finanziario Wrm – è che il nostro Paese è considerato come opzione soprattutto da quelle imprese finanziarie che lavorano molto sul binario Italia-Gran Bretagna». Per Nino Tronchetti Provera, ceo del fondo Ambienta, che opera su Milano, Londra e Francoforte le chance del capoluogo lombardo di mettere le mani su pezzi di business della City sono, sulla carta, importanti, soprattutto per il private equity. «Considerando lo scenario di una frattura radicale con Londra che d’improvviso diventa un centro off shore la partita sul cotè del private equity dovrebbe essere a tre: Parigi, Francoforte, Milano. La Francia è tagliata fuori per la fiscalità. Se paragoniamo Francoforte e Milano abbiamo lo stesso numero di piccole e medie imprese e un bacino di risparmio che forse è più alto nell’area lombarda. Come qualità della vita, francamente, non c’è paragone oltre ad avere un sindaco che in questa situazione potrebbe fare un nuovo miracolo replicando quello di Expo. Il problema è il contesto regolamentare e fiscale per nulla favorevole. C’è un motivo se siamo l’unico fondo pan europeo di private equity con sede a Milano. Solo in Italia dobbiamo fare i conti con una dozzina di organi di controllo». E per questo motivo, Nino Tronchetti Provera crede che a rastrellare più di tutti i brandelli della City, alla fine, sarà il Lussemburgo.
Londra, Italia è uno scenario che potrebbe stare stretto a giganti afflitti dal dubbio, come Vodafone ed Easyjet, che hanno manifestato il loro disagio per la Brexit, sviluppo che ora li costringe a considerare mosse strategiche alternative, confermate dalla decisione del vettore low cost di garantirsi la licenza di un paese Ue e non più solo del Regno Unito. Eppure è uno scenario a cui i giapponesi da tempo dedicano attenzione. «La presentazione di due anni fa a Londra in collaborazione con Jetro (l’Istituto per il commercio estero di Tokio n.d.r) fu fatta – ricorda Dante Brandi responsabile dell’ufficio economico dell’Ambasciata d’Italia – proprio perché, in vista di Brexit, banche e imprese giapponesi volevano scandagliare alternative in Europa e in particolare in Italia». Da qui a dire che Nomura, Mitsubishi e compagni siano pronti a fare le valigie con destinazione piazza Affari ce ne corre, ma senza “passaporto” e quindi accesso al mercato unico dovranno orientarsi anche loro fra le capitali del continente.
Analoga è la prospettiva se si considerano i flussi di investimenti esteri diretti e le imprese non finanziarie. «L’Italia è collocata idealmente in Europa – dice Simon Blagden presidente non esecutivo di Fujitsu Uk grande investitore di Tokio in Gran Bretagna – per attrarre business anche perché ha un contesto fiscale e di relazioni industriali meno difficile di quello francese. Ci sono grandi opportunità in settori specifici, in particolare nella meccanica. Nel contesto di grande incertezza come quello del dopo Brexit non si assisterà allo smobilizzo di progetti già avviati. Diverso è lo scenario se si considera la prossima ondata di investimenti. Le imprese internazionali che venivano qui, attirate da un quadro normativo, fiscale, di relazioni industriali altamente favorevole con l’obiettivo di accedere al mercato interno, chiederanno time out». Un ripensamento che spingerà molti rifugiati dalla Brexit a guardare all’Italia. Se l’Italia sarà pronta ad accoglierli.
IL «TESORO» INGLESE
Le authority europee. La Brexit impone inevitabilmente l'espulsione da Londra delle autorità europee che lì hanno sede e che quindi saranno chiamate a trasferire le sedi con centinaia di dipendenti in seno all'Unione. In particolare nella capitale inglese sono collocati l'European banking authority, guidato da Andrea Enria, e l'European medicine agency, presieduto da Guido Rasi. Il 6 luglio il sindaco di Milano Giuseppe Sala incontrerà i due presidenti e probabilmente porrà la candidatura del capoluogo lombardo come sede per le due autorità.
Il versante finanziario. Secondo gli operatori Brexit fa diventare Londra un centro off shore per cui soprattutto sul versante del private equity la partita dovrebbe essere a tre: Parigi, Francoforte, Milano. La Francia è tagliata fuori per la fiscalità, Germania e Italia hanno le chance per essere in lizza.
Giapponesi anticipatori. Lo scenario post-Brexit è da tempo sotto la lente di banche e imprese giapponesi che hanno scandagliato alternative in Europa e in particolare in Italia. Non c'è ancora nulla di concreto ma se hanno bisogno di un accesso al mercato unico dovranno orientarsi fra le capitali del continente
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